RIASSUNTO
Levi sottolinea come nel campo di prigionia le mete che l’uomo si pone siano molto diverse da quelle che si hanno nella vita da uomini liberi. Lo scopo fondamentale che i deportati si pongono e di cui parlano in continuazione è quello di riuscire ad arrivare a primavera, tutto il resto non interessa, non ha la minima importanza. Essi scrutano in continuazione il cielo in cerca di segnali che rivelino l’arrivo della stagione mite.
Una giornata in cui spunta un tiepido sole risveglia subito la speranza che il peggio sia passato e che le cose andranno migliorando. Una giornata serena fa notare le cose di cui prima non ci si accorgeva, per esempio il verde dei campi che circondano il lager. L’unica cosa che rimane sempre grigia e squallida è la Buna (la fabbrica), grande quanto una città e popolata, oltre che dai tedeschi, da oltre 40.000 stranieri e dove si parlano 15/20 lingue diverse.
Levi riflette sul fatto che ciò che permette agli uomini di sopportare le sofferenze patite nel campo è la capacità della natura umana di non soffrire le pene e i dolori patiti in modo simultaneo, sommandone l’impatto, ma percependoli con un ordine basato sulla causa maggiore. Per esempio accade che non appena la stagione primaverile fa cessare il freddo insopportabile contro cui i deportati hanno lottato per tutto l’inverno, subito emerge, con maggiore forza, l’altro grande nemico contro cui i deportati lottano quotidianamente: la fame. Da quel momento tutte le conversazioni vertono sul cibo.
Sigi, un giovane diciassettenne, racconta con grande rimpianto di quando ad un pranzo nunziale non ha finito il suo terzo piatto di zuppa di fagioli e Béla parla di una ricetta per fare la polenta dolce. Anche Levi non resiste a fantasie di fame che gli fanno danzare davanti agli occhi la pastasciutta cucinata al campo di smistamento e lasciata lì alla notizia della partenza il giorno dopo per il lager.
Fischer, un ungherese, uno degli ultimi arrivati, è riuscito a conservare mezza razione del pane distribuito al mattino e adesso lo mastica lento e metodico sotto gli occhi affamati di tutti gli altri detenuti; nessuno dei prigionieri di lungo periodo ha la capacità di conservare così a lungo un pezzetto del proprio pane.
La giornata, raccontata da Levi in questo capitolo, è speciale, non solo per lo spuntare del sole dopo il lungo inverno, ma anche perché uno dei deportati, Templer, è riuscito a procurare una razione aggiuntiva di zuppa lasciata dagli operai polacchi che lavorano poco distante perché sapeva di rancido e che per i deportati diventa un dono inaspettato capace di placare per un po’ i morsi della fame.
A fine giornata, poiché tutti si sentono eccezionalmente sazi, gli animi sono pacificati e non nascono i soliti litigi. Ognuno si ritrova a pensare ai propri cari, cosa che non avviene solitamente, e per qualche ora tutti “possono essere infelici alla maniera degli uomini liberi”.