La figlia di Iorio come viene definita dallo stesso D’Annunzio è una “tragedia rustica d’argomento abruzzese”, si tratta di un’opera drammatica in versi, in tre atti, scritta nell’estate del 1903.
L’ambiente in cui si svolge è l’Abruzzo primitivo, patriarcale e superstizioso, immerso nella cultura contadina e pastorale, ed ha luogo nel giorno di San Giovanni.
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RIASSUNTO
Aligi, uno dei personaggi principali, pastore, componente della famiglia di Lazaro di Roio deve sposarsi con la giovane Vienda di Giave e la sua famiglia sta organizzando le nozze. Le tre sorelle di Aligi: Splendore, Favetta e Ornella, secondo l’antico rituale tradizionale, preparano gli arredi e le vesti per il matrimonio, mentre la madre benedice gli sposi, riceve e accoglie i parenti che giungono con i doni nuziali.
L’atmosfera di agreste serenità viene però sconvolta dall’arrivo di Mila di Codro. Mila, figlia del mago Iorio cerca riparo e protezione per sfuggire alle molestie di un gruppo di mietitori ubriachi. Aligi, nonostante la cattiva nomea della giovane donna, sospettata dalla comunità di stregoneria, la difende ponendo sull’uscio una croce di cera davanti alla quale i mietitori indietreggiano ed infine si allontanano. Il rito nuziale è ormai profanato e interrotto dagli avvenimenti.
Mila e Aligi si innamorano e fuggono insieme rifugiandosi in una caverna in montagna.
Quando Lazaro, padre di Aligi, cerca di possedere, anche con la forza, Mila, la situazione degenera e Aligi, pur essendo un uomo mite e puro di cuore, si oppone alla prepotenza paterna ed ha una colluttazione con il padre-padrone che termina con la sua uccisione.
Aligi viene condannato dalla comunità ad essere buttato nel fiume, chiuso in un sacco con un mastino, ma Mila interviene per salvarlo assumendosi tutta la responsabilità dell’accaduto, dichiarando di aver ammaliato Aligi con una stregoneria e di averlo convinto ad uccidere il padre. Mila condannata al rogo affronta la prova come martirio e purificazione.
Analisi del testo
Come esplicitato dal sottotitolo dell’opera si tratta di una “tragedia pastorale”.
Il tema affrontato ha tutte le peculiarità tipiche del verismo: la giovane che, corrotta, si perde ed acquista in tal modo un fascino drammatico e nefasto. Mila è un personaggio che esprime grande femminilità, femminilità che si rivela distruttiva provocando la cosiddetta ”ossessione carnale”, uno dei temi che D’Annunzio affronta spesso. Mila, donna dalla pessima reputazione, sospettata anche di stregoneria, rivela in realtà di avere un animo nobile e puro ed incarna anche il personaggio dell’eroina che per amore volontariamente sceglie il sacrificio.
Quella di D’Annunzio è una forma di drammaturgia che rifugge dalla rappresentazione di scene di vita quotidiana privata, come avveniva con le rappresentazioni teatrali dell’epoca (teatro borghese e realistico). Egli ambisce infatti ad elevare la rappresentazione teatrale attraverso il “teatro di poesia” che trasfigura la realtà, idealizzandola e nobilitandola e che è popolato da personaggi fuori dal comune che si distinguono per gli elevati sentimenti e passioni.
Analisi metrica
Lo stile si basa su una lingua dal registro alto, un lessico puro, lontano dal linguaggio comune, volutamente artificiale.
Il lettore in tal modo percepisce di prendere parte ad un evento di alto valore che va oltre l’esperienza della quotidianità.
Un linguaggio così difficile, magniloquente e accademico rende l’opera agli occhi del lettore “fuori dal tempo”, e rende la lettura impegnativa. D’annunzio va in controtendenza rispetto ai tempi, infatti all’epoca la scrittura tende invece sempre più ad avvicinarsi alla lingua corrente ricorrendo ad un linguaggio semplice e lineare ed a volte anche colloquiale. D’Annunzio vuole raffinare e dare nobiltà al suo linguaggio, vuole usare un lessico aulico, e dunque muovendosi nella direzione contraria rispetto agli altri scrittori va alla continua ricerca del termine e dell’espressione desueti ed arcaici che lo porta, ad esempio, ad utilizzare “dimandare” anziché “domandare”, “bevere” anziché “bere”, “capellatura” anziché “capigliatura”.
Anche per la struttura metrica e ritmica ricorrerà allo stesso criterio alternando endecasillabi e novenari a seconda del contesto. Il concreto mondo agricolo, crudele e duro viene reso attraverso i novenari mentre il mondo pastorale, bucolico e ritualizzato viene reso con l’uso degli endecasillabi. Inoltre ricorre spesso all’impiego di figure retoriche.
Per rammentare l’andamento continuo dl canto popolare, il verso è privo di enjambement, è ininterrotto e senza pause. L’autore a volte ricorre a proverbi, scongiuri e preghiere di frequente uso nelle formule espressive popolari.
La rappresentazione
La tragedia viene rappresentata per la prima volta nel marzo del 1904 al Teatro Lirico di Milano ed ha subito successo.
Il pittore Paolo Michetti viene incaricato da D’Annunzio di dipingere la scenografia della tragedia che egli ambienta con lo sfondo della Majella e l’immagine della caverna, in cui si rifugiano Mila e Aligi, è ispirata alla Grotta del Cavallone, il cui antro d’ingresso verrà per questo motivo in seguito rinominato Sala di Aligi.