RIASSUNTO
La pioggia di novembre è diventata neve ed i deportati del Kommando chimico sono rimasti con gli abiti estivi perchè in teoria dovrebbero lavorare al coperto in un laboratorio, in realtà continuano a lavorare all’aperto spostando materiale chimico da un magazzino all’altro. In questo momento sono impegnati a trasportare sacchi di fenilbeta dalla cantina del Reparto Stirolo al magazzino.
Per ora, per Levi, essere nel Kommando chimico non ha portato alcun vantaggio, anzi solo svantaggi come il non aver ricevuto cappotti che agli altri sono stati invece distribuiti, o avere sacchi da trasportare che pesano 60 kg., mentre quelli degli altri sono di 50 kg.
Il più volte ventilato laboratorio del Dottor Pannwitz nel Bau 939 non è mai stato realizzato.
Levi sta riflettendo sul fatto che in quelle condizioni sarà difficile arrivare ad un altro inverno, le forze non bastano più, quando avviene l’imprevedibile: Levi è tra i tre Haftlinge, un belga, un rumeno e un italiano, scelti per il Laboratorio “Die drei Leute vom Labor”, ovvero in italiano “le tre persone del laboratorio”.
Gli altri deportati si congratulano e tra loro anche Alberto che ne è ben felice, sia per amicizia, sia perché anche a lui ne deriveranno dei vantaggi, visto il legame di alleanza e condivisione che sta alla base del loro legame.
Levi promosso a specialista del laboratorio di chimica ha diritto a camicia e mutande nuove e ad essere sbarbato ogni mercoledì.
L’atmosfera del laboratorio, i suoi macchinari, la vetreria, gli odori per un attimo riportano a galla il ricordo dell’aula universitaria in Italia.
A capo del laboratorio c’è un polacco-tedesco di nome Stawinoga, dottore non in chimica ma in glottologia che li chiama con l’appellativo di Monsieur, cosa che Levi ritiene, in un contesto del genere, ridicola e sconcertante.
In laboratorio ci sono 24 gradi e vi sono molti oggetti e materiale da rubare utili per il baratto; il problema di riuscire a superare il rigore dell’inverno e di mangiare abbastanza non si pone più. Già Levi programma di cucirsi una tasca interna segreta per trasportare la merce rubata e di accordarsi con l’inglese che lavora in officina per il baratto. Dopo un anno di Lager sa di poter eludere qualsiasi controllo e sorveglianza.
Tuttavia pur sapendo che questo colpo di fortuna aumenta notevolmente le sue possibilità di sopravvivenza Levi sa anche che basta poco, un piccolo errore nelle misure, un vetro rotto, una disattenzione e in un attimo potrebbe ricadere nella situazione precedente e finire al “Camino”. Inoltre c’è l’incognita dei russi che hanno il fronte di guerra sempre più vicino al campo.
Levi vive una situazione privilegiata, in campo dalla sera al mattino è uguale a tutti gli altri ma di giorno, al lavoro è al coperto e al caldo, seduto con un quaderno ed una matita, non rischia di essere picchiato ed ha la possibilità di trafficare merce per procurarsi cibo. Ma è proprio questa situazione di tranquillità, come nel Ka-Be e nelle domeniche di riposo, che gli fanno ricordare il suo essere uomo facendo emergere di nuovo la sua coscienza ed è in queste occasioni che inizia a scrivere quello che egli afferma “non saprei dire a nessuno”.
Tra i civili del laboratorio ci sono anche delle ragazze, di fronte a loro i prigionieri si sentono sprofondare di vergogna, ripugnanti come sono nell’aspetto e sudici, pieni di pulci e puzzolenti. Le ragazze sono bionde, ben vestite e ben pettinate, anziché lavorare spesso fumano, mangiano, si limano le unghie e chiacchierano tra di loro, provano disprezzo e ripugnanza per i deportati.
Sentire le ragazze conversare tra loro della propria vita nel mondo libero riporta alla mente di Levi la sua vita di un anno prima quando ancora uomo libero, quando ancora aveva un nome e una famiglia, un corpo sano e una mente lucida e l’avvenire appariva ricco di aspettative. La considerazione finale è che, anche se riuscisse a spiegare tutto questo alle ragazze certo non lo capirebbero, e se anche lo comprendessero non potrebbero sostenere la sua vicinanza e lo eviterebbero.