RIASSUNTO
Mentre Levi è impegnato insieme ai suoi compagni di Kommando a raschiare e pulire una cisterna arriva Jean, il più giovane del Kommando Chimico che era stato nominato Pikolo, cioè fattorino-scritturale a cui competeva la pulizia della baracca e delle gamelle, la consegna degli attrezzi e la contabilità delle ore di lavoro.
Jean è uno studente alsaziano che parla correttamente francese e tedesco, forte e scaltro ma nello stesso tempo mite e amichevole. E’ molto benvoluto nel Kommando, dove è riuscito con perseveranza a conquistarsi la fiducia del Kapo e a mantenere rapporti umani con i compagni meno privilegiati di lui.
Il Kapo, Alex, uomo violento e ignorante, disprezza gli ebrei e li tratta con crudeltà, è servile invece con i civili e amichevole con le SS. Jean (Pikolo) è riuscito ad entrare nelle sue grazie attraverso un’opera lenta e cauta, rendendosi utile per la stesura del registro del Kommando e del rapportino quotidiano delle prestazioni, che tanto intimidiscono e mettono in difficoltà il Kapo.
Tra le incombenze di Jean c’è anche quella di prelevare il rancio per il Kommando chimico. Per il trasporto della pesante marmitta egli può scegliere tra i deportati una persona e una mattina egli decide di chiedere a Levi di accompagnarlo.
Si tratta di andare fino alle cucine, ad un chilometro di distanza, e poi tornare trasportando una marmitta di cinquanta chili. E’ un lavoro faticoso ma che permette di fare la camminata di andata all’aria aperta senza carico facendo un lungo giro senza destare sospetti. Camminando i due parlano di varie cose, le loro case, gli studi, le loro madri, e poi Jean dice che gli piacerebbe imparare l’italiano. Levi vuole insegnarglielo e per farlo fa una scelta metodologica significativa: ricorrere al canto XXVI dell’Inferno di Dante, quello di Ulisse.
Levi recita qualche terzina e poi tenta di tradurle, e continua di strofa in strofa, tra lacune e dimenticanze, continuando a volte in prosa frettolosamente perché nel frattempo stanno per arrivare alle cucine.
Il canto diventa così un modo per evadere dall’ambiente brutale del Lager, per ritrovare se stessi e l’umanità, per ricordare la vita da libero. Il faticoso far tornare alla memoria i versi danteschi si intreccia con la memoria del vissuto di ognuno di loro, il mare, le montagne, il passato. Levi si sforza di recitare la conclusione del canto ma gli tornano alla memoria altri versi, si sforza di ricostruire le rime ma ormai non c’è più tempo, sono arrivati alle cucine.
Si mettono in fila insieme a tutti gli altri deportati porta-zuppa.
La dignità umana ritrovata, grazie alla profonda e significativa bellezza del canto dantesco, per un breve attimo, viene sommersa dalla squallida e bestiale quotidiana realtà di Auschwitz.