Se questo è un uomo
Shemà è la poesia che Primo Levi, significativamente, ha messo all’inizio della sua opera “Se questo è un uomo”, il suo capolavoro e primo libro in cui egli narra la sua esperienza di prigioniero nel campo di sterminio di Auschwitz.
TESTO
PARAFRASI
[1] Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case,
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:
[1] Voi che vivete sicuri (Voi che vivete sicuri – apostrofe Primo Levi si rivolge direttamente al lettore) nelle vostre case calde, voi che rincasando la sera trovate un piatto caldo e visi amichevoli:
[5] Considerate se questo è un uomo
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi;
Ripetetele ai vostri figli.
[5] considerate se è un uomo questo, che (che… che… che… - anafora) lavora nel fango, che non conosce pace, che lotta per pezzetto di pane, che muore per un sì o per un no. Considerate se questa è una donna, senza (senza… senza… senza… - anafora) capelli e senza nome, senza più la forza di ricordare, con gli occhi vuoti e il grembo freddo, come una rana durante l’inverno (Come una rana d’inverno – similitudine).
Meditate sul fatto che ciò è accaduto davvero: vi comando queste parole. Incidetele in maniera indelebile (Scolpitele – l’imperativo conferisce un tono di comando con cui viene ordinato di non dimenticare mai l’orrore dell’olocausto) nel vostro cuore, [ricordatele] stando in casa o camminando per la strada, andando a dormire o alzandovi; ripetetele ai vostri figli.
[21] O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.
10 gennaio 1946
[21] Possa, altrimenti (O - una sorta di anatema conclude la poesia), la vostra casa distruggersi (vi si sfaccia la casa), possa la malattia rendervi infermi (vi impedisca), possano i vostri figli (vostri nati) dispezzarvi.
Riassunto
Primo Levi si rivolge a tutti coloro che conducono una vita normale, tranquilla e confortevole, affinché non chiudano gli occhi davanti alla sofferenza e alla condizione di disumanità vissute da coloro che sono stati rinchiusi nei campi di concentramento. Quegli uomini e quelle donne umiliati e costretti a doversi litigare un tozzo di pane, a non avere più una aspetto umano e una identità. Quegli uomini e quelle donne le cui vite sono finite completamente in mano ad altri e il cui destino è rimasto appeso all’arbitrarietà di un sì o di un no.
L’autore sollecita a riflettere e a tramandare il ricordo di tanta brutalità, ricordando in ogni momento della propria giornata e raccontandolo ai giovani, in modo che il passare del tempo non sbiadisca la memoria dell’orrore delle persecuzioni naziste. Ricordare diventa un obbligo in quanto rappresenta l’unico modo per non incorrere ancora nello stesso errore.
La poesia si conclude con un monito per coloro che rimarranno indifferenti all’imperativo della memoria, sui quali, come una maledizione, si abbatteranno tragedie e castighi.
Analisi del testo della poesia
La poesia "Shemà" riporta la data del 10 gennaio 1946, l’anno prima ed esattamente il 27 gennaio 1945 Primo Levi veniva liberato da Auschwitz.
Il poeta traumatizzato dall’esperienza vissuta rivolge un appello al lettore ed all’uomo in generale affinché non venga mai dimenticato ciò che è accaduto, perché si tenga viva la memoria dell’orrore della deportazione e dello sterminio degli ebrei raccontando la Shoah ai propri figli, per far sì che mai più possa ripetersi una tale follia.
Titolo
Shemà è un termine ebraico che significa “ascolta” ed è l’inizio di una preghiera ebraica che viene recitata dagli ebrei due volte al giorno, al mattino e alla sera, e che inizia con le parole “shemà Israel”, “ascolta Isreale”. Sia il testo liturgico, sia la poesia, sono un imperativo a ricordare e trasmettere di padre in figlio, nel primo caso i fondamenti della religione ebraica e nel secondo caso la Shoah.
Analisi metrica:
Versi liberi. Non vi sono rime ma assonanze e consonanze. Lo stile è secco, prosastico, diretto. Il linguaggio è semplice ma denso di significato, affidato alla forza delle immagini evocate.
Una serie di imperativi: considerate v.5 e 10, meditate v.15, scolpitele v.17, ripetetele v.20, rafforzano la perentorietà del messaggio trasmesso dall’autore. Mentre l’uso del gerundio: stando v.18, andando v.18, coricandovi v.19, alzandovi v.19 trasmettono l’idea della continuità che il dovere di ricordare deve mantenere.
Figure retoriche:
- Voi che vivete sicuri (v.1): l’incipit è una apostrofe che conferisce incisività a quanto segue. E’ un’ammonimento/accusa rivolta ai lettori per indurli a non dimenticare mai l’orrore di quanto vissuto.
- Voi che…: ripetuto ai versi 1 e 3 – Anafora, vocativo con cui Levi si rivolge direttamente al genere umano.
- Considerate se…: ripetuto ai versi 5 e 10 – Anafora.
- Considerate se questo è un uomo/ Considerate se questa è una donna: ai versi 5 e 10 - parallelismo - attraverso queste due domande retoriche Primo Levi crea un parallelo tra la condizione degli uomini e delle donne, entrambi costretti in condizione di prigionia tali da non essere più uomini e donne, non essere più esseri umani.
- Che…: ripetuto ai versi 6, 7, 8 e 9 – Anafora, crea un crescendo di drammaticità riferito alla condizione in cui dovevano vivere i deportati.
- Senza…: ripetuto ai versi 11 e 12 – Anafora, anche in questo caso serve a rafforzare e dare intensità alle privazioni sofferte sino alla perdita della propria dignità e identità.
- Come una rana d’inverno (v.14): Similitudine tra la donna e la rana. La donna come una rana in letargo, quando non è più fertile e attiva, ha perso ogni traccia di femminilità, non è più se stessa.