TESTO
PARAFRASI
[85] Ond'ella, che vedea me sì com'io,
a quietarmi l'animo commosso,
pria ch'io a dimandar, la bocca aprio,
[85] Per cui Beatrice (ella), che capiva i miei pensieri così come me stesso (vedea me sì com'io – i beati sono onniscienti per cui Beatrice conosce il pensiero di Dante prima che egli lo esprima), per calmare il mio animo scosso (commosso), prima ancora che io potessi domandare, aprì (aprio) la bocca
[88] e cominciò: «Tu stesso ti fai grosso
col falso imaginar, sì che non vedi
ciò che vedresti se l'avessi scosso.
[88] ed iniziò a spiegare: “Tu stesso sei tardo a capire (ti fai grosso) con false supposizioni (falso imaginar), così che non vedi ciò che vedresti se avessi rimosso (avessi scosso) quel pensiero sbagliato [cioè la falsa credenza di essere ancora sulla terra].
[91] Tu non se' in terra, sì come tu credi;
ma folgore, fuggendo il proprio sito,
non corse come tu ch'ad esso riedi».
[91] Non ti trovi sulla Terra, così come credi; ma un fulmine (folgore), allontanandosi dal suo punto di origine, non corre così veloce quanto te che ad esso ritorni (ch'ad esso riedi) [torni in Paradiso, cioè nel tuo luogo d’origine].”
[94] S'io fui del primo dubbio disvestito
per le sorrise parolette brevi,
dentro ad un nuovo più fu' inretito,
[94] Se fui allora liberato (disvestito) dal primo dubbio [relativo alla novità del suono e della luce e alla loro causa], grazie a quelle poche parole della sorridente (sorrise parolette) Beatrice, fui però colto (inretito) da un nuovo dubbio
[97] e dissi: “Già contento requievi
di grande ammirazion; ma ora ammiro
com'io trascenda questi corpi levi”.
[97] e dissi: “Già soddisfatto mi sono acquietato (requievi - latinismo) rispetto alla mia più grande meraviglia (ammirazion); ma mi stupisco (ammiro) ora di come possa io [con ancora il peso del corpo] salire attraverso (trascenda) questi corpi leggeri.”
[100] Ond'ella, appresso d'un pio sospiro,
li occhi drizzò ver' me con quel sembiante
che madre fa sovra figlio deliro,
[100] Per cui lei, dopo un pietoso sospiro, alzò i propri occhi verso di me con atteggiamento simile a quello (quel sembiante) con cui una madre si rivolge al proprio figlio con la febbre (deliro, delirante per la febbre),
[103] e cominciò: “Le cose tutte quante
hanno ordine tra loro, e questo è forma
che l'universo a Dio fa simigliante.
[103] cominciò dicendo: “Tutte le cose esistenti sono sottoposte ad un ordine, che è il principio (forma) che rende l’universo simile (simigliante) a Dio.
[106] Qui veggion l'alte creature l'orma
de l'etterno valore, il qual è fine
al quale è fatta la toccata norma.
[106] In quell’ordine le creature superiori (alte creature) vedono il segno (orma) della potenza di Dio (etterno valore), che è il fine ultimo a cui tende l’ordine sopraaccennato (toccata norma).
[109] Ne l'ordine ch'io dico sono accline
tutte nature, per diverse sorti,
più al principio loro e men vicine;
[109] In questo ordine [universo ordinato] del quale parlo (ch'io dico), tutte le cose create (nature) sono predisposte (accline), a seconda delle loro diverse condizioni (diverse sorti), più o meno vicine al loro principio [Dio];
[112] onde si muovono a diversi porti
per lo gran mar de l'essere, e ciascuna
con istinto a lei dato che la porti.
[112] perciò esse si muovono verso destinazioni differenti (diversi porti), attraverso il grande mare della vita (lo gran mar de l'essere - metafora), ciascuna guidata (che la porti) dal suo particolare istinto.
[115] Questi ne porta il foco inver' la luna;
questi ne' cor mortali è permotore;
questi la terra in sé stringe e aduna;
[115] Quest’ordine (questi - anafora) spinge il fuoco a salire verso (inver') il cielo della luna; regola (è permotore) le funzioni vitali negli esseri privi di ragione (cor mortali – gli animali); tiene unita e compatta la terra (la terra in sé stringe e aduna – come legge di gravità);
[118] né pur le creature che son fore
d'intelligenza quest'arco saetta
ma quelle c'hanno intelletto e amore.
[118] ma non soltanto le creature prive di intelligenza (le creature che son fore d'intelligenza) sono spinte [da quest’ordine] verso il loro fine (quest'arco saetta - metafora), ma anche le creature dotate di intelligenza e di volontà (amore – qui amore sta per volontà di amare, cioè come forma superiore di amore, non istintiva ma scelta razionale).
[121] La provedenza, che cotanto assetta,
del suo lume fa 'l ciel sempre quieto
nel qual si volge quel c'ha maggior fretta
[121] La provvidenza divina, che regola questo ordine (cotanto assetta), con la propria luce (lume) rende quieto il cielo [dell’Empireo], nel quale ruota la sfera celeste più veloce (quel c'ha maggior fretta – il Primo Mobile);
[124] e ora lì, come a sito decreto,
cen porta la virtù di quella corda
che ciò che scocca drizza in segno lieto.
[124] ed ora lì [nell’Empireo], luogo decretato come nostro fine (a sito decreto – l’Empireo è il fine a cui tende l’uomo e meta finale del viaggio di Dante e Beatrice), ci porta la potenza di quella corda che dirige verso un lieto bersaglio qualsiasi cosa venga scoccata (corda che ciò che scocca drizza in segno lieto – prosegue l’immagine dell’arco accennata al v.119 – metafora per dire che l’ordine provvidenziale indirizza ogni creatura verso il proprio fine dove trova letizia).
[127] Vero è che, come forma non s'accorda
molte fiate a l'intenzion de l'arte,
perch'a risponder la materia è sorda,
[127] È comunque vero che il risultato (forma) non corrisponde (non s'accorda) molte volte (molte fiate) a quella che era l’intenzione dell’artefice, perché la materia non è disposta a comprenderla (è sorda),
[130] così da questo corso si diparte
talor la creatura, c'ha podere
di piegar, così pinta, in altra parte,
[130] così a volte da questo ordine naturale (corso) si allontana (si diparte) l’uomo (la creatura), avendo il potere di rivolgersi altrove, pur essendo stato ben indirizzato (così pinta);
[133] e sì come veder si può cadere
foco di nube, sì l'impeto primo
l'atterra torto da falso piacere
[133] e così come è possibile vedere cadere il fuoco [che normalmente va verso l’alto] in forma di fulmine da una nube (foco di nube), allo stesso modo l’inclinazione naturale (l'impeto primo) [che dovrebbe portare l’uomo a salire verso il cielo] lo porta invece verso terra [l'atterra] traviata (torto) da una falsa immagine del bene (da falso piacere).
[136] Non dei più ammirar, se bene stimo,
lo tuo salir, se non come d'un rivo
se d'alto monte scende giuso ad imo.
[136] Non devi quindi meravigliarti (ammirar), come credo tu faccia (se bene stimo), del fatto che stai salendo al cielo (lo tuo salir), più di quanto tu non ti meravigli per il fatto che un fiume scenda dall’alto di un monte fino a valle (imo).
[139] Maraviglia sarebbe in te se, privo
d'impedimento, giù ti fossi assiso,
com'a terra quiete in foco vivo”.
[139] Ti saresti dovuto meravigliare se, libero da ogni impedimento, tu fossi rimasto giù (giù ti fossi assiso), come una fiamma viva che rimane quieta a terra.”
[142] Quinci rivolse inver' lo cielo il viso.
[142] Detto questo, rivolse quindi al cielo il proprio viso.
Riassunto e analisi del testo del canto:
La parte finale del primo canto del Paradiso è incentrata sui dubbi di Dante relativi all’esperienza che sta vivendo, Beatrice, con l’atteggiamento di una madre pia e paziente, che sospira verso il figlio che dice cose errate, risponde a questi dubbi:
- Primo dubbio di Dante (non espresso): conoscere la ragione del suono armonioso che sente provenire dal moto delle sfere celesti e della luminosità così intensa che li avvolge.
Beatrice risponde al dubbio inespresso di Dante spiegandogli che non si trovano più nell’Eden ma che stanno attraversando la sfera di fuoco e volano velocissimi verso il Paradiso. - Dante ha un secondo dubbio: “come posso salire con il peso del mio corpo?”, cioè come sia possibile che il suo peso corporeo non lo trattenga a terra ed invece, contro le comuni leggi fisiche, egli si innalzi oltre le sfere degli elementi lievi.
Beatrice gli spiega che tutte le cose tendono a tornare rispetto al loro principio generatore se non c’è nulla che le fa tendere verso terra. Nel Paradiso terrestre Dante si è purificato dei suoi peccati per cui ora può tendere verso Dio, precisa che egli si dovrebbe stupire piuttosto del contrario cioè se fosse rimasto sulla terra.