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Sezione Letteratura

Ora parrà s’eo saverò cantare

Amore è follia che ci distoglie dal ben fare, proprio della natura umana

Parafrasi e analisi della poesia

Canzone morale

Guittone d'Arezzo

· Pubblicato ·

L’amore è follia

Ora parrà s’eo saverò cantare,o Amore è follia che ci distoglie dal ben fare, proprio della natura umana, è una famosa canzone di Guittone d’Arezzo in cui l’equilibrio della ragione si contrappone alla follia e al disordine del sentimento amoroso.
Rappresenta la poesia spartiacque tra la vita laica di Guittone e la sua conversione nel 1265.


TESTO

PARAFRASI

[1] Ora parrà s'eo saverò cantare
e s'eo varrò quanto valer già soglio,
poi che del tutto Amor fuggo e disvoglio,
e più che cosa mai forte mi spare!
Ch'ad om tenuto saggio audo contare
che trovare - non sa, né valer punto,
omo d'Amor non punto;
ma' che digiunto - da vertà mi pare,
se lo pensare - a lo parlare - assembra,
ché 'n tutte parte, ove distringe Amore
regge follore - in loco di savere.
Donqua como valere
po, né piacer - di guisa alcuna fiore,
poi dal Fattord’ogne valordissembra
e al contraro d'ogne mainera sembra?

[1] Ora si vedrà (parrà) se io (eo – latinismo sta per ego) saprò cantare (cantare - fare poesia) e se io saprò valere quanto valgo (valer già soglio) perché io completamente (del tutto) fuggo e mi allontano (disvoglio – sta per non voglio più) da Amore (personificazione) e più di ogni altra cosa mi pare (spare) insopportabile (forte)!
Che ho sentito raccontare (audo contare) da un uomo (om – latinismo – allude a Bernart de Ventadorn) ritenuto (tenuto) saggio che un uomo non toccato (non punto) dall’amore non sa cantare/poetare (trovare – da trobadur) e anzi non vale proprio niente (valer punto); ma mi pare che [sia] lontano (digiunto) dalla verità se unisce il pensare al parlare, perché ogni volta ('n tutte parte) che Amore ha il sopravvento (distringe Amore) vi è la follia (regge follore follore è un provenzalismo) al posto (in loco) della saggezza (savere). Dunque, come può (po' – latinismo da potest) valere, come può piacere, qualsiasi cosa (fiore - metafora) che è lontano (dissembra) dal suo creatore (Fattor - Dio), in ogni sua parte (d’ogne valor) e sembra contrario (al contraro) ad ogni sua manifestazione (mainer')? [domanda retorica]

[16] Ma chi cantare vole e valer bene,
in suo legno nochier diritto pone
e orrato saver mette al timone,
Dio fa sua stella, e 'n ver lausor sua spene;
ché grande onor né gran bene no è stato
conquistato - carnal voglia seguendo,
ma promente valendo
e astenendo - a vizi e a peccato;
unde 'l sennato - apparecchiatoognora
de core tutto e di poder dea stare
d'avanzare - lo suo stato ad onore,
no schifando labore;
ché già riccore - non dona altrui posare,
ma 'l fa alungiare, - e ben pugnare - onora;
ma tuttavia lo 'ntenda altri a misura.

[16] Ma chi vuole (vole) poetare (cantare) e [nello stesso tempo] valere con onore (bene), pone nella sua vita (in suo legno metonimia e metafora) una guida (nochier - metafora) ferma (diritto) e mette al timone (metafora) un sapere onorato (orrato), fa Dio sua guida (stella - metafora), e fa la vera lode (lausor - provenzalismo) la sua speranza; che non è stato conquistato né un grande bene, né un grande onore, seguendo la passione carnale (carnal voglia), ma stando sempre all’erta prontamente (promente) e astenendosi dai vizi e dal peccato; perciò (unde) l’assennato (sennato – intende la persona con senno) – pronto (apparecchiato) – deve sempre (ognora) [con] tutto il suo cuore (core - latinismo) e  [con] l’azione (di poder) ad avanzare (stare d'avanzare) – nel suo stato ed onore non evitando (schifando) la fatica (labore – latinismo da labor); che già ricchezza (riccore - provenzalismo) – non permette a nessuno (non dona altrui) di fermarsi (posare) ma lo impegna ('l fa alungiare) - e lo induce a combattere (pugnare – latinismo e metafora); ma tuttavia lo si intenda anche questo con equilibrio (misura).

[31] Voglia ‘n altrui ciascun ciò che 'n sé chere,
non creda pro d'altrui dannaggio trare
ché pro non po ciò ch'onor tolle dare,
né dà onor cosa u' grazia e amor pere;
e grav’è ciò ch'è preso a disinore
ch’a lausore - dispeso esser poria.
Ma non viver credria
senza falsia - fell'om, ma via maggiore
fora plusor - giusto di cor - provato:
ch’é più onta che mort' è da dottare,
e portar - disragion più che dannaggio;
ché bella morte om saggio
dea di coraggio - più che vita amare,
ché non per star, - ma per passare, - orrato
dea credere ciascun om d'esser creato.

[31] Ciascuno voglia negli altri (n altrui) ciò che chiede per sé ('n sé chere), non creda di trarre (trare) vantaggio (pro – latinismo – in antitesi con dannaggio) dal danno altrui (d'altrui dannaggio), che non può dare vantaggio (pro non po -  paronomasia) ciò che toglie (tolle – latinismo da tollo) l’onore, né dà onore una cosa dove (u') la grazia e l’amore vengono meno (pere – perisce - latinismo da pereo); ed è difficile (grav’è) che ciò che si è ottenuto con disonore (disinore) possa essere (esser poria) preso (dispeso) a lode (lausore – latinismo da laus).
Ma non creda (credria) di vivere senza falsità - un uomo traditore (fell'om), ma cosa più grave (via maggiore) il giusto di cuore sarebbe maggiormente (fora plusor) provato:  che è più da temere (dottare) la vergogna (onta) che la morte (iperbole) e di essere non ragionevole (portar - disragion) più che [ricevere] un danno (dannaggio); perché l’uomo (om) saggio dovrebbe (dea) amare una bella morte [fatta] di coraggio più che la vita (morte/vita vv.42 e 43 - antitesi e iperbole), perché ciascun uomo dovrebbe credere (dea credere) di essere stato creato non per essere (per star) onorato (orrato) ma per passare (non per star, - ma pèr passar - antitesi).

[46] En vita more, e sempre in morte vive,
omo fellon ch'è di ragion nemico:
credendo venir ricco, ven mendico,
ché non già cupid' om pot' esser dive,
ch'adessa forte più cresce vaghezza
e gravezza - u' più cresce tesoro.
Non manti acquistan l'oro,
ma l'oro loro; - e i plusor di ricchezza
e di gentilezza - e di bellezza - han danno.
Ma chi ricchezza dispregi' è manente,
e chi gent’è - dannaggio e pro sostene
e dubitanza e spene
e se conten - de poco orrevelmente
e saggiamente - in sé consente - affanno,
secondo vol ragione e' tempi dànno.

 

[46] In vita muore, e sempre nella morte vive (ossimoro, chiasmo, antitesi e paronomasia), l’uomo traditore (omo fellon – il fellone è colui che tradisce la ragione), che è nemico della ragione: credendo di diventare ricco diventa povero (mendicoantitesi ricco/povero); che un uomo tanto bramoso (già cupid' om) non può essere ricco (dive – latinismo da dives), che dove (u') la ricchezza (tesoro) cresce di più subito (adessa) più forte cresce il desiderio di possedere ancora di più.
Non i tanti (manti) diventano padroni dell’oro ma l’oro [diventa padrone] loro (l'oro loroparonomasia – gioco di parole); e i più (plusor) ricevono danno (han danno) dalla ricchezza, dalla nobiltà (gentilezza) e dalla bellezza.
Ma chi disprezza (dispregi') la ricchezza è [veramente] ricco (manente), e (e… e…e…e - polisindeto) è nobile (gent - latinismo) chi [riesce a] sostenere (sostene) sia il danno (dannaggio) che il vantaggio (pro), e il dubbio (dubitanza) e la speranza (spene) e si accontenta (se conten) - di poco onorevolmente (orrevelmente) e saggiamente – ma riesce a gestirsi (in sé consente) – [ogni] affanno secondo quello che la ragione permette e i tempi consentono.

[61] Onne cosa fue solo all'om creata,
e l'om no a dormir né a mangiare,
ma solamente a drittura operare;
e fue descrezion lui però data.
Natura, Deo ragion scritta e comune,
reprension - fuggir, pregio portare
ne comanda; ischifare
vizi, e usar - via de vertù n'empone,
onne cagione - e condizion - remossa.
Ma se legge né Deo no l'emponesse,
né rendesse - qui merto in nulla guisa,
né poi l'alma è divisa,
m'e pur avisa - che ciascun dovesse
quanto potesse - far che stesse - in possa
onni cosa che per ragion è mossa.

 

[61] Ogni (Onne – latinismo da omnis) cosa fu creata solo per l’uomo, e l’uomo non è stato fatto per dormire o per mangiare ma solamente per agire correttamente (drittura operare); e gli fu data però discrezionalità (descrezion – libertà di scegliere tra il bene e il male).
Natura, Dio, ragione (senso comune) comanda (ne comanda) di fuggire ciò che è riprovevole (reprension) e di sostenere ciò che è pregevole (pregio portare); ci impone (n'empone) di rifiutare (ischifare) i vizi, e seguire (usar) la via della virtù, [dopo] aver rimosso ogni ragione (cagione) ed ogni condizionamento (condizion).
Ma se la legge e Dio non ce lo imponesse (no l'emponesse), né ci fosse reso merito (merto) qui (qui – qui in questo mondo) in nessun modo (in nulla guisa), né poi [quando] l’anima sarà divisa [dal corpo] (l'alma è divisa – cioè quando saremo morti, saremo in un altro mondo), mi pare egualmente (m'e pur avisa) - che ciascuno dovrebbe per quanto può (quanto potesse) fare in modo che [ogni cosa] stia al suo posto (stesse - in possa), ogni cosa che è mossa dalla ragione.

[76] Ahi, come vale me poco mostranza!
Ché 'gnoranza - non da ben far ne tolle,
quanto talento folle;
e ma’ ne 'nvolle - a ciò malvagia usanza,
ché più fallanza - è che leanza - astata.
No è 'l mal più che 'l bene a far leggero.
Ma che? fero - lo ben tanto ne pare
solo per disusare,
e per portar - lo contrar disidero:
u' ben mainero - e volontero - agrata,
usarl' aduce in allegrezza orrata.

 

[76] Ahi come questo insegnamento (mostranza) mi vale poco! Che l’ignoranza - non ci impedisce di fare il bene (non da ben far ne tolle), quanto piuttosto la follia (talento folle); e ci coinvolge nel male (ma’ ne 'nvolle) – l’usanza malvagia [rivolta] a ciò, che chi agisce malvagiamente (fallanza) è più agguerrito (astata) di chi agisce lealmente (leanza).
Non è più facile (a far leggero) fare il male che il bene.
Ma il bene sembra tanto difficile (tanto ne pare) da fare (fero) solo perché non vi è abitudine a farlo (per disusare) e perché tendiamo (portar) al desiderio contrario: dove (u') il bene è quotidiano (mainero - francesismo) e volontario (volontero) gratifica (agrata) e usarlo (usarl') ci conduce (aduce) ad una allegrezza onorata.


Tematica

Il tema del componimento Ora parrà s’eo saverò cantare si focalizza sull’opposizione tra sentimento e intelletto, tra follia e ragione: dicotomia che risulta in favore della razionalità.
Il poeta sostiene che l’uomo è fatto per agire in maniera retta, per ben operare attraverso la ragione, che è equilibrio e razionalità, in antitesi al caos e all’irrazionalità proprie dell’istinto e della follia amorosa.



Riassunto del testo della poesia

  • Prima strofa: Il poeta afferma che adesso (che si è convertito) si vedrà se sarà ancora in grado di far poesia, e se varrà quanto prima, ora che fugge da Amore, come fonte di ispirazione.  Un uomo ritenuto saggio (riferimento senza citarlo espressamente a: Bernart de Ventadorn), sostiene che colui che non è colpito da Amore non sia in grado di far versi né valga qualcosa. Guittone non crede che ciò sia vero perché in realtà dove domina amore vi è la follia, il caos e non la ragione e la saggezza: dunque, come può aver valore ciò che diverge così radicalmente da Dio e assomiglia in ogni modo al suo contrario (al demonio)?
  • Seconda strofa: Per fare poesia bene e di valore, sostiene Guittone, si deve perseguire la giusta e retta meta, essere come la nave che ha al timone la sapienza e che segue la rotta indicata da Dio attraverso la stella polare: dato che non si è mai conseguito un grande onore e un grande bene seguendo i desideri carnali ma piuttosto astenendosi dai vizi e dai peccati. Per cui l’uomo accorto, il saggio dovrà essere sempre pronto, con tutto il suo cuore e la sua volontà, a migliorare il proprio stato non disdegnando la fatica, infatti la ricchezza non dà riposo anzi pone in continua attività, anche se è da considerare con misura.
  • Terza strofa: La terza stanza è costruita sull’antitesi tra saggezza e follia, tra l’uomo saggio e onesto ed il fellone.
    Guittone afferma che ogni uomo deve volere per gli altri ciò che desidera per sé stesso, non deve cercare vantaggio nel danno altrui, dato che non è onorevole una cosa per la quale vengono meno grazia e amore e difficilmente ciò che viene ottenuto con il disonore può dare onore. L’uomo fellone, traditore (della morale), non crede si possa vivere senza inganno, eppure è l’uomo giusto, di cuore, che è ritenuto dalle persone il più grande, bisogna infatti temere più l’onta che la morte e l’essere in torto più che l’averlo subito; l’uomo saggio deve amare più una bella morte che la vita perché ognuno è nato non semplicemente per vivere ma per vivere in maniera onorevole.
  • Quarta strofa: Anche questa stanza, come la terza, ruota attorno ad un’antitesi, ovvero sulla contrapposizione tra ricchezza e povertà.
    L’uomo fellone è nemico della ragione, muore pur vivendo e vive come un morto; credendo di diventare ricco diventa invece più povero, infatti chi vive nella cupidigia quanto più aumenta la sua ricchezza quanto più aumenta il suo desiderio di possedere di più. Non molti acquistano l’oro ma è l’oro che acquista loro e la ricchezza comporta per i più un danno della nobiltà e della bellezza (d’animo). Invece chi disprezza la ricchezza è colui che è veramente ricco, chi ha un comportamento nobile, sia con il danno che con il vantaggio, sia di fronte al dubbio che alla speranza, chi si accontenta di poco in maniera onorevole e chi ragionevolmente accetta e affronta le difficoltà che la vita comporta.
  • Quinta strofa: In questa stanza il poeta parla del senso della vita per l’uomo perché ogni cosa è stata creata per l’uomo e l’uomo non è stato creato solo per dormire e per mangiare ma per ben operare, per la morale e per la giustizia, e gli fu data la discrezione di scelta (libero arbitrio). La natura, Dio e la ragione del buon senso portano a rifiutare ciò che è riprovevole e perseguire ciò che è pregevole; rigettare i vizi e praticare la virtù, superando ogni pretesto e riserva. Ma anche se Dio e la legge non lo imponessero, se ciò non rendesse merito né in vita, né in morte, ogni uomo dovrebbe comunque fare il possibile per agire in base alla ragione.
  • Sesta strofa: Strofa conclusiva in cui il poeta riconosce che non è facile seguire la via della ragione, la follia (l’istinto) più che l’ignoranza porta gli uomini lontano dall’agire con rettitudine; e ancor di più fa il comportamento fallace, ingannevole, perché è più astuto chi sbaglia di chi è leale. Non è più facile fare del male rispetto al bene; ma il bene sembra più difficile solo perché non si è abituati a farlo mentre si è soliti desiderare il suo contrario, il male: laddove il bene è familiare e lo si fa volentieri, gratifica e porta alla gioia.


La conversione di Guittone

La canzone Ora parrà s’eo saverò cantare, viene composta da Guittone d’Arezzo nel 1265, anno di svolta per il poeta, in cui, a seguito di una crisi religiosa, il poeta decide di dedicarsi alla vita ecclesiastica, abbandona la famiglia ed entra nell’ordine dei Frati Gaudenti.
Inizia così la seconda parte della vita di Guittone: alla svolta esistenziale segue infatti anche un cambiamento nella sua poetica, oltre a firmarsi come Fra Guittone, abbandona la tematica amorosa cortese, arrivando a paragonare l’amore con la follia (il follore), a favore di contenuti civili, religiosi e morali.



Analisi del testo

Questa poesia è una sorta di canzone-manifesto della nuova poetica di Guittone. Rappresenta un componimento autobiografico ed etico che si pone in opposizione alla tradizione delle liriche d’amore ed a favore di una poesia di carattere morale e dottrinaria.
Nella parte iniziale della canzone la concezione cortese, che associa Amore e valore, viene contestata e ripudiata. Amore significa infatti follia perché rappresenta quella forza irrazionale che è opposta alla saggezza e all’operare con sapienza, dunque è negazione di ogni qualità positiva.  
Si sviluppa in seguito attraverso una serie di antitesi, nelle strofe centrali:

  • tra l’uomo saggio e onesto ed il fellone,
  • tra amore come follia e saggezza come razionalità,
  • tra vita e morte,
  • tra ricchezza e povertà,

emerge l’aspetto moralistico della poesia come insegnamento in cui l’uomo è fatto per operare con equilibrio e razionalità, sole qualità che portano a Dio.
In queste antitesi si rispecchia la vicenda biografica di Guittone la contrapposizione della sua vita passata a quella presente di uomo legato ad un ordine religioso.



La polemica con Bernart De Ventadorn

Nella prima strofa, pur non citandolo apertamente, il componimento entra in polemica con il trovatore Bernart De Ventadorn (L’om tenuto saggio, v.5), poeta che sosteneva che se un cuore non è coinvolto nell’amore, se non è innamorato, non può comporre poesie. Per essere poeti bisogna essere toccati dall’amore.
Guittone sostiene esattamente il contrario: proprio perché con l’innamoramento il cuore è travolto dalla follia dell’amore, è dominato dal disordine che si contrappone all’ordine di Dio, per questa ragione l’amore è da fuggire in quanto forza demoniaca.




Analisi metrica

Ora parrà s’eo saverò cantare è una canzone di 6 strofe:

  • cinque stanze di quindici versi
  • l’ultima stanza di 11 versi a chiusura del componimento.

I versi sono endecasillabi o settenari (indicati con la lettera minuscola nello schema delle rime).

Nelle prime 5 strofe i versi sono distribuiti in:

  • Fronte (prima parte della strofa) bipartita: 2 piedi in rima incrociata;
  • Chiave (verso di concatenazione tra Fronte e Sirma);
  • Sirma (seconda parte della strofa): 2 volte in terzine in rima baciata e le ultime due rime rimano con la chiave.

Nell’ultima strofa la distribuzione dei versi è pressoché simile ma manca 1 piede alla Fronte.  

Linguaggio: molto complesso, difficile, astruso. Molti vocaboli provengono dal dialetto aretino ed altri dal latino. Molte le anastrofi e le apocopi (troncamenti di parola).
Enjambement: vv.12/13; vv.20/21; vv.36/38/39; vv.46/47; vv.74/75.



Rime

Le rime seguono per 5 stanze lo schema: ABBA ACcA D EFf EDD.
Nell’ultima strofa, mancando una parte (1 piede della sirma) lo schema è: ABbA C DEe DCC.


Numerose e varie le rime:

  • Interne: sono moltissime, solo per citarne alcune: contare/trovare, vv.5-6; punto/digiunto, vv.7-8; pare/pensare/parlare, vv.8-9, vaghezza/gravezza, vv.50-51, ecc.
  • Equivoca (riferita a vocaboli identici ma che hanno significati diversi): punto/punto vv.6-7 punto come avverbio e punto come verbo;
  • Derivativa: disembra/asembra vv.14/15, spare/pare, vv.4 e 8; remossa/mossa vv.69/75
  • Ricche: stato/acquistato vv.20/21; soglio/disvoglio v.23;
  • Rime univoche: onor/onor, vv.33-34.


Figure retoriche

Approfondimento di alcune figure retoriche:

Anastrofe – sono moltissime in tutte le strofe, per esempio solo nella prima stanza:

  • valer già soglio, v.2
  • Amor fuggo e disvoglio, v.3
  • più che cosa mai forte mi spare, v.4
  • ma' che digiunto - da vertà mi pare, v.8
  • se lo pensare - a lo parlare - sembra, v.9
  • al contrar d'ogne mainer' asembra, v.15

Antitesi

  • non creda pro d'altrui dannaggio trare, v.32- contrapposizione vantaggio/danno;
  • En vita more, e sempre in morte vive, v. 46 - contrapposizione vita/morte;
  • credendo venir ricco, ven mendico, v.48 - contrapposizione ricco/povero;

Chiasmo

  • En vita more, e sempre in morte vive, v.46;

Iperbato

  • Ch'ad om tenuto saggio audo contare / che trovare - non sa, né valer punto, / omo d'Amor non punto, vv.5/7;
  • Ma non viver credria / senza falsia - fell'om, ma via maggiore / fora plusor - giusto di cor - provato: / ch’é più onta che mort' è da dottare, vv.37/40;
  • …bella morte om saggio / dea di coraggio - più che vita amare, vv.42/43;
  • ch'adessa forte più cresce vaghezza / e gravezza - u' più cresce tesoro, vv.50/51;
  • No è 'l mal più che 'l bene a far leggero, v.81;

Iperbole

  • Ch'ad om tenuto saggio audo contare / che trovare - non sa, né valer punto, / omo d'Amor non punto, vv.5/7;
  • Ma non viver credria / senza falsia - fell'om, ma via maggiore / fora plusor - giusto di cor - provato: / ch’é più onta che mort' è da dottare, vv.37/40;
  • … più che vita amare, v.43;

Metafora

  • in suo legno nochier diritto pone / e orrato saver mette al timone, / Dio fa sua stella, e 'n ver lausor sua spene, vv.17/19 – è la classica metafora che paragona la vita del poeta ad una nave (indicata con legno per metonimia) che segue una rotta diritta (nochier diritto) che ha Dio come guida (Dio fa sua stella);

Metonimia

  • … in suo legno…, v.17 – legno, ovvero il materiale di cui è composta, sta per nave;

Ossimoro

  • En vita more, e sempre in morte vive, v.46 – accostamento delle parole antitetiche morte e vita, vivere e morire;

Paronomasia

  • pro non po, v.33;
  • En vita more e sempre in morte vive, v.46;
  • l’oro loro, v.53;

Polisindeto

  • e…e…e…e, vv. 56/59.





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