Sezione
Letteratura

Riassunto e analisi del settimo capitolo

La preparazione della notte degli inganni

I promessi sposi, Capitolo 6

Alessandro Manzoni

· Pubblicato ·

ANTEFATTO

Il sesto capitolo si è concluso con Padre Cristoforo che si allontana dal palazzotto di don Rodrigo e si dirige verso la casa di Lucia, mentre don Rodrigo rimane nella sala in cui ha discusso animatamente con il frate e la percorre a grandi passi in preda all’irritazione.


Il settimo capitolo è il capitolo che introduce e prepara il lettore alla notte degli inganni, ovvero la notte in cui viene organizzato il matrimonio a sorpresa e contestualmente il rapimento di Lucia.

 


 

RIASSUNTO


A casa di Lucia

Padre Cristoforo si reca a casa di Lucia per riferire l’esito infruttuoso del suo incontro con don Rodrigo. Sebbene nessuno avesse fiducia nel fatto che un uomo come don Rodrigo potesse farsi convincere a desistere, dal suo intento miserabile, dalle sole preghiere di un frate, per tutti la notizia è un duro colpo. Le donne (Lucia e Agnese) reagiscono abbassando tristemente il capo e Renzo in maniera irata, imprecando ad alta voce, nonostante la presenza di Padre Cristoforo.

Renzo vorrebbe sapere esattamente quali parole don Rodrigo ha usato con Padre Cristoforo, ma questi risponde che non è in grado di ripeterle perché “le parole dell’iniquo […] penetrano e sfuggono” egli può solo dire che quell’uomo è irremovibile. Padre Cristoforo comunque rassicura tutti dicendo che non devono perdersi d’animo e devono continuare avere fiducia nell’aiuto di Dio, che già gli ha dato segno del suo intervento per far trionfare la giustizia.

Prima di congedarsi chiede a Renzo di recarsi da lui, al convento, il giorno dopo, o mandare qualcuno di fiducia, in modo da  potergli comunicare il da farsi. Esce quindi e se ne va quasi correndo, per poter raggiungere il convento prima che faccia notte.

Una volta che il frate se n’è andato, Lucia suggerisce di dar retta alle parole del religioso, che è un uomo che quando promette poi mantiene la parola data, ma Renzo è accecato dalla collera e medita di far pagare a don Rodrigo le sue prepotenze; vuole farsi giustizia da solo, costi quel che costi. Agnese amorevolmente lo ammonisce e da donna pratica quale è, a cui la vita le ha insegnato a vivere, gli ricorda che contro i poveri c’è sempre giustizia (solo i potenti possono farla franca ma i poveri rispondono sempre delle proprie azioni).

Renzo non vuol sentire ragioni e le due donne cercano invano di calmarlo; egli si placa solo quando Lucia, temendo che egli trascinato dall’ira possa fare uno sproposito, finalmente acconsente a prendere parte al matrimonio a sorpresa. Ottenuto il consenso di Lucia, Renzo vorrebbe trattenersi ancora per definire già i dettagli di come procedere, ma deve, suo malgrado, congedarsi perché sta ormai scendendo la notte e non pare “cosa conveniente che, a quell’ora, si trattenesse più a lungo”.


La mattinata seguente

I tre passano una notte agitata e la mattina seguente Renzo si fa vedere di buon’ora a casa di Lucia, impaziente di definire tutti i dettagli del matrimonio a sorpresa. In realtà sono solo Agnese e Renzo che discutono dei particolari mentre Lucia rimane silenziosa ad ascoltare e promette di fare il meglio possibile.

Renzo non vuole andare al convento da Padre Cristoforo perché teme che il frate gli legga negli occhi ciò che hanno intenzione di fare e chiede ad Agnese di incaricare suo nipote Menico di questa commissione.

Mentre Renzo si congeda, Agnese si reca da Menico per chiedergli di recarsi al convento, gli fa le raccomandazioni di comportarsi bene e gli promette una ricompensa (due belle pagliole).

Nel prosieguo della mattinata strani avvenimenti avvengono alla casa di Agnese e Lucia che mettono le due donne in allarme:

  • Un mendicante, non cencioso come sono di solito i mendicanti e dall’aspetto sinistro entra a chiedere la carità, gettando occhiate curiose tutto in giro. Gli viene dato un tozzo di pane ma egli continua a trattenersi facendo domande varie a cui Agnese scaltramente risponde dicendo l’esatto contrario di quello che dovrebbe. Quando il mendico si decide ad andarsene finge di sbagliare l’uscita per gettare altri sguardi indagatori e poi si scusa in maniera eccessivamente affettata;
  • Altre visite si susseguono per tutta la mattinata di vari personaggi, poco credibili come viandanti: chi chiede indicazioni stradali, chi passa semplicemente davanti alla casa e ne approfitta per dare occhiate curiose, ecc.

Verso mezzogiorno la processione di quelle persone finisce. Le due donne ne sono contente ma rimane in loro una certa inquietudine che gli fa perdere, soprattutto a Lucia, una gran parte del coraggio che avevan messo in serbo per la sera.


A casa di don Rodrigo

Per comprendere le presenze misteriose che hanno animato la mattinata in casa di Agnese e Lucia, avvisa il narratore, è necessario fare un passo indietro temporale e tornare al giorno prima, quando don Rodrigo ha cacciato dal suo palazzo Padre Cristoforo ed è rimasto a camminare nervosamente avanti e indietro nella sala del colloquio sotto gli occhi dei ritratti degli antenati appesi alle pareti.

Ovunque volga gli occhi un diverso parente gli si para davanti: il condottiero, il magistrato, una matrona, un abate, tutti dall’aspetto feroce e che alla loro epoca avevano seminato il terrore ed ancora lo ispiravano.

Davanti a loro don Rodrigo non riesce a darsi pace all’idea che un frate abbia osato affrontarlo con la prosopopea di Nathan (il profeta che aveva rimproverato Davide d’aver ucciso Uria e di avergli rubato la moglie) e un desiderio di vendetta non l’abbandona anche se la profezia del frate (quell’esordio di profezia) continua ad inquietarlo.

Esce quindi per una passeggiata vestito di cappa, spada e cappello a grandi penne, seguito da sei dei suoi bravi armati. Al suo passaggio tutti coloro che incontra, sia gli umili che i signori, si inchinano e lo salutano prostrandosi ed anche nella casa in cui va a fare visita viene accolto con grande ossequio e rispetto: tutto ciò rinfranca il suo orgoglio e lo rasserena.

La notte, quando rientra al suo palazzo cena con il Conte Attilio. Durante la conversazione il Conte Attilio lo provoca ed inizia a stuzzicarlo riguardo alla scommessa, ritiene che egli l’abbia già vinta ed afferma di essere pronto a farne un’altra, ovvero scommette che il frate lo ha convertito. Don Rodrigo apparentemente annoiato reagisce dicendo al cugino di non cantar vittoria troppo presto visto che è il giorno di San Martino il giorno in cui scade la scommessa e solo allora si vedrà chi ha vinto.


Il griso

Il giorno dopo Don Rodrigo è tornato il don Rodrigo di sempre e l’apprensione per la profezia del frate è svanita del tutto. Appena sveglio fa chiamare il Griso, soprannome del capo dei bravi, colui a cui solitamente affida le imprese più rischiose e fedelissimo di don Rodrigo, dopo che questi gli aveva dato protezione quando era ricercato dalla polizia per aver commesso un omicidio. L’ordine che viene impartito al Griso è di rapire Lucia per portarla al palazzo ma, gli viene raccomandato, che non le venga torto un capello e che sia rispettata.

Il piano consiste nell’appostarsi in un casolare abbandonato, poco distante dalla casa di Lucia, che dicono sia visitato dalle streghe, per cui nessuno del luogo ardisce mai di arrivare sino là. I dettagli vengono pianificati in modo da depistare a fine impresa eventuali indagini, lasciando falsi indizi, imponendo ad Agnese il silenzio e spaventando a tal punto Renzo da fargli passare ogni voglia di ricorrere alla giustizia ed anche di lamentarsi.

Don Rodrigo suggerisce inoltre al Griso che se quel tanghero temerario di Renzo si mette di mezzo di non fargli mancare qualche bastonata “così, l’ordine che gli verrà intimato domani di stare zitto, farà più sicuramente l’effetto”. Il Griso lo rassicura dicendogli “Lasci fare a me”, e si congeda per andare a mettere in pratica il piano concordato.


L'attuazione del piano

Lo strano viandante che era entrato nella casa di Lucia, nella mattinata, non era altri quindi che il Griso, che in quel modo aveva fatto una ricognizione della casa in cui doveva avvenire il rapimento. Gli altri viandanti che con varie scuse avevano transitato davanti alla casa erano i suoi sgherri, i bravi.

Mentre gli uomini di don Rodrigo si stanno organizzando, il vecchio servitore, che stava con occhi aperti e orecchie tese, riesce finalmente a capire cosa si stesse architettando nel palazzotto. Capisce inoltre che il piano del rapimento si sarebbe attuato quella notte stessa, per cui, non si doveva perdere altro tempo. Consapevole del rischio che stava correndo e nonostante la paura, il vecchio si affretta verso il convento per avvisare Padre Cristoforo.

I bravi nel frattempo scendono alla spicciolata, per non dare nell’occhio, per radunarsi al casolare abbandonato, dove il Griso, con buona parte dei bravi rimangono in agguato ad aspettare il momento buono per agire. Nel frattempo, il Griso manda 3 dei suoi uomini all’osteria a fare un sopraluogo:

  • Uno deve rimanere fermo sulla porta per controllare quando tutti gli abitanti si fossero ritirati per la notte;
  • Due all’interno a giocare e a bere ed intanto spiare se c’è qualcosa da segnalare.

Renzo all'osteria

Anche Renzo si reca all’osteria, con Tonio e Gervaso, per definire gli ultimi dettagli del matrimonio a sorpresa da realizzare di lì a poco. Nota subito uno strano personaggio che ingombra mezzo vano della porta e lancia occhiate a destra e a sinistra.  Per poter entrare Renzo e i due fratelli devono appiattirsi verso l’altro vano della porta.

Entrati vedono altri due loschi individui intenti a giocare alla morra; i tre inquietanti personaggi si lanciano strane occhiate.

Renzo si insospettisce e chiede all’oste chi siano questi individui e l’oste risponde di non conoscerli, precisa inoltre che nel suo mestiere è buona regola non farsi gli affari degli altri e che a lui basta sapere che gli avventori sono dei galantuomini, ovvero persone che pagano.

Mentre l’oste rientra in cucina uno dei bravi gli si avvicina chiedendogli informazioni su Renzo e i suoi compari. L’oste in questo caso non fa il reticente e con dovizia di particolari riferisce come si chiamano, che mestiere fanno e alcune loro caratteristiche (Renzo è un bravo filatore di seta, Tonio ama stare all’osteria, Gervaso ama mangiare quando glielo offrono).

Renzo rimane inquieto per la presenza dei tre loschi individui e cerca di accelerare i tempi della cena. I tre parlano sottovoce e a spezzoni. Ad un certo punto Gervaso stupidamente se ne esce con un riferimento al prossimo matrimonio di Renzo e subito viene zittito da uno sguardo brusco di questi e da una gomitata del fratello Tonio.

Finita la cena i tre escono sotto gli sguardi dei tre avventori e due di questi li seguono subito dopo. I due sgherri vorrebbero dare una lezione a Renzo ma in giro c’è ancora troppa gente e rinunciano.


Dal curato

Quando Renzo bussa alla casa di Lucia, la ragazza è assalita dal terrore, tanto che sta pensando che forse è meglio rimanere per sempre separata da Renzo piuttosto che affrontare quel matrimonio a sorpresa, ma quando vede che tutti, Renzo, Agnese e i due testimoni, sono pronti ad avviarsi irrevocabilmente verso la casa del curato, anch’ella si adegua e desiste da ogni proposito di rinuncia.

Giunti per vie traverse alla canonica, i due promessi sposi si nascondono mentre Tonio e il fratello chiedono di essere ricevuti dal parroco, con la scusa di saldare il debito contratto con lui.  Agnese nel frattempo rimane pronta ad attirare l’attenzione della perpetua per distrarla.

Quando la perpetua scende per aprire la porta ai due fratelli, Agnese si fa trovare a parlare con Tonio, come se fosse passata lì per caso e Tonio l’avesse trattenuta con qualche domanda.







ANALISI DEL TESTO

 

INCIPIT

L’apertura del capitolo è tutta letteraria con uso di termini militari. Padre Cristoforo è dipinto, con una similitudine, come un capitano che ha perduto una battaglia, suo malgrado, ma, non domato, si appresta a riorganizzarsi, per continuare a combattere per difendere la sua causa.


 

LA PROCESSIONE DEI VIANDANTI

Manzoni nel capoverso della processione dei mendichi utilizza un tono naturale, quasi dimesso, nel descrivere l’avvicendarsi dei viandanti alla casa di Lucia ed utilizza un ritmo molto particolare in cui ogni periodo si inserisce fra due pause. In questo modo ogni fatto acquista rilievo e tra l’uno e l’altro si insinua nel lettore il sospetto.


Nonostante le due donne (Agnese e Lucia) siano quasi assenti, o meglio, Lucia non appare del tutto e Agnese è solo accennata, sono loro le vere protagoniste del capoverso, non i mendichi, infatti non sono visibili ma la loro presenza è fortemente percepibile in ogni pausa tra periodo e periodo.


Le due donne ritornano personaggi visibili quando termina la processione dei mendichi. Non avere più l’andirivieni dei pellegrini porta ad un senso di sollievo ma anche di inquietudine in loro, e ciò prepara il lettore al possibile fallimento del tentativo di matrimonio dei due promessi sposi.





 

I RITRATTI DEGLI ANTENATI

La sfilata dei ritratti degli antenati ricorda Parini. Come don Rodrigo anche il Giovin Signore pariniano si trova davanti alle immagini degli avi, ciò che li differenzia è la funzione diversa che rivestono:

  • Per il Giovin Signore servono ad evidenziare ancor di più la sua viziosa mollezza;
  • Per don Rodrigo servono ad incentivare la sua sete di vendetta.

La descrizione di questa scena verte su elementi che in un crescendo mostrano don Rodrigo sempre più turbato e agitato:

  • La descrizione dei personaggi dei ritratti e il confronto con loro;
  • la parola terrore che ritorna un po’ martellante;
  • la sintassi aggressiva e incalzante;
  • il tornare in mente della profezia, smorzata a metà (esordio di profezia), evidenzia come la minaccia del frate abbia scavato in lui una traccia profonda.

Don Rodrigo appare come un uomo che preda dell’inquietudine perde sicurezza: tutti i suoi avi sono stati il terrore di coloro che avevano intorno, invece lui, don Rodrigo, si era fatto soverchiare da un semplice frate.


 

LA FILOSOFIA DELLA PREPOTENZA

La filosofia della prepotenza, introdotta subito nel primo capitolo nella scena dell’incontro tra don Abbondio e i bravi, ripresa nei discorsi del banchetto nel palazzo di don Rodrigo, poi nella scena della discussione tra don Rodrigo e Padre Cristoforo, ed anche nelle riflessioni tra Padre Cristoforo e Renzo, emerge anche nel capitolo settimo.


Manzoni la evidenzia in più situazioni:

  • Quando Renzo chiede spiegazioni sulla giustificazione che don Rodrigo ha dato a Padre Cristoforo riguardo ai suoi comportamenti, Padre Cristoforo lo afferma chiaramente: l’ingiustizia non ha ragioni, perciò il prepotente che commette delle iniquità non avrà mai delle ragioni che giustifichino il suo comportamento.
  • La condotta del prepotente è subdola, egli, pur consapevole del male che commette, lo nega, anzi lo strumentalizza ea arrivare addirittura a insultare e chiamarsi offeso, schernire e chiedere ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile;
  • La filosofia della prepotenza emerge anche nelle istruzioni che don Rodrigo dà al Griso il cui comportamento deve basarsi sull’intimidazione, la violenza e la mistificazione per far rivolgere i sospetti altrove e mettere a tacere ogni tentativo di reazione da parte degli oppressi.

 

L'OSTE

Nel settimo capitolo appare per la prima volta la figura dell’oste.


Manzoni rappresenta l’oste come un personaggio unicamente impegnato a difendere la propria attività, a qualsiasi costo e al di là di qualsiasi senso etico.


Con questo personaggio Manzoni vuole focalizzarsi su una mentalità diffusa di opportunismo che vuole accondiscendere tutti ma che inevitabilmente porta a tener mano ai furfanti e ai prepotenti.


Impalato in un atteggiamento professionalmente neutrale l’oste sembra voler tener conto del suo prossimo ma il suo è un comportamento suggerito solo dall’interesse di tener buoni tutti i clienti.


Si dichiara amico dei galantuomini ma il suo concetto di galantuomo è piuttosto singolare, galantuomo è l’avventore che paga, che non fa storie e che non gli crea problemi, e che, nel caso sia un delinquente, va a compiere le sue cattive azioni lontano dall’osteria.


L’oste sta sempre dalla parte del più forte. Manzoni lo dichiara esplicitamente: in atto pratico, usava molto maggior compiacenza con quelli che avessero riputazione e sembianza di birboni. Infatti, l’oste si comporta in modo differente con Renzo e con i bravi, col primo è evasivo mentre con i secondi è dettagliato nel rispondere alle domande.


 

IL VILLAGGIO AL CREPUSCOLO

La descrizione del villaggio al calare della sera è una delle tante famose esposizioni del Manzoni che danno l’idea di un quadro.


E’ un’immagine corale sulla vita del paese al calar del sole, si percepisce:

  • il brulichio dell’andare e venire delle donne con i bambini;
  • il ritorno dai campi degli uomini con gli attrezzi di lavoro sulle spalle;
  • i saluti e le quattro chiacchiere sulla scarsità del raccolto;
  • i rintocchi della campana;
  • le luci del fuoco dei camini accesi.

Il crepuscolo di Manzoni ricorda quello del Sabato del villaggio di Leopardi, ma si differenzia perché insieme alla descrizione paesaggistica vi è il riferimento alla fede, attraverso:

  • le divozioni della sera e
  • la campana del vespro.





 

FIGURE RETORICHE

Tra le principali figure retoriche utilizzate ci sono:


Anafora

  • Quel cane…quel cane…;
  • La finirò io….la finirò io;
  • Per burla…per burla…burla;
  • La farò io la giustizia…la farò io la giustizia;
  • Pregata…pregata…pregata;
  • No…no…;
  • Sì…sì…;
  • Verrò…verrò…verrò;
  • No no;
  • Terrore…terrore…terrore…terrore…;
  • Convertito…convertito…;
  • Il padre…il padre…;
  • Falso…falsi…;

Antitesi

  • può insultare e chiamarsi offeso, schernire e domandar ragione, atterrire e lagnarsi, essere sfacciato e irreprensibile – serie di termini in contrapposizione per descrivere la persona iniqua.

Chiasmo

  • la finirò io: io la finirò - verbo/soggetto – soggetto/verbo;

Climax

  • don Rodrigo tanto più si arrovellava, si vergognava, non poteva darsi pace – climax ascendente.

Metafora

  • quel cane – termine usato da Renzo per definire don Rodrigo;
  • tizzone d’inferno – ancora per definire don Rodrigo;
  • il cane assassino – come sopra;
  • con la prosopopea di Nathan – Nathan è un profeta che aveva replicato ad alcuni comportamenti di David rivolgendosi a lui con parole di fuoco e ricordandogli che Dio si sarebbe vendicato;
  • parlando con il naso – è il modo di parlare dei predicatori, secondo il Conte Attilio;
  • signore non si può levare un fiore dalla pianta…senza toccarlo - riferito all’atto di rapire Lucia;
  • il soccorso di Pisa – per dire soccorso inutile perché arrivato troppo tardi;
  • sole cadeva – al tramonto;
  • occhi grifagni – per dire occhi da predatore;
  • quella cariatide – per definire il bravo che si è piazzato in mezzo alla porta di ingresso dell’osteria;
  • porto di mare – è la definizione che l’oste dà della sua osteria, come luogo in cui la gente va e viene;
  • spianare le costole – cioè bastonare, picchiare;
  • barbaro che non era privo d’ingegno – è riferito a Shakespeare. Era stato Voltaire a definirlo barbaro (Giulio Cesare, atto II, scena I).

Similitudine

  • Il padre Cristoforo arrivava nell’attitudine d’un buon capitano che, perduta senza sua colpa una battaglia importante, afflitto ma non scoraggiato, sopra pensiero ma non sbalordito, di corsa e non in fuga, si porta ove il bisogno lo chiede a premunire i luoghi minacciati, a raccogliere le truppe, a dar nuovi ordini – prospettiva militare per rendere la sconfitta di Padre Cristoforo;
  • Mi leggerebbe in viso, come su un libro che c’è qualcosa per aria;
  • È come farsi cavare un dente;




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