Sezione
Letteratura

Riassunto e analisi del sesto capitolo

Il bene e il male a confronto

I promessi sposi, Capitolo 6

Alessandro Manzoni

· Pubblicato ·

ANTEFATTO

Il quinto capitolo si è concluso con Padre Cristoforo che finalmente viene ricevuto in privato da Don Rodrigo, al termine del banchetto al cui tavolo egli ha dovuto sedersi e dove ha assistito alle oziose discussioni che si tengono nel palazzotto tra gli invitati di don Rodrigo.

Ora il frate può chiedere a Don Rodrigo di desistere da ogni sua mira su Lucia e lasciare che lei e Renzo siano liberi di sposarsi.

 


 

RIASSUNTO


La prima parte del VI capitolo è relativa al colloquio tra padre Cristoforo e don Rodrigo, la seconda parte riguarda invece i preparativi che vengono messi in atto da Renzo e Agnese per organizzare un matrimonio a sorpresa a danno di don Abbondio.

Lo scontro tra don Rodrigo e Padre Cristoforo

Don Rodrigo ben piazzato nel mezzo della sala chiede bruscamente al frate che cosa voglia. Nonostante egli usi una formula di cortesia (In che posso ubbidirla?) per rivolgersi al frate è chiaro, per il tono della voce e per l’atteggiamento, il fare aggressivo dell’uomo.


Padre Cristoforo passando tra le dita i grani del rosario, dopo un primo impulso a reagire, mantiene la calma, si rivolge al suo interlocutore con umiltà e cercando di far leva sulla sua coscienza ed il suo onore gli chiede di desistere da ogni proposito di soverchiare due innocenti restituendo al diritto la sua forza.


Il riferimento alla coscienza e all’onore suscita in don Rodrigo una reazione violenta e sfacciata che rende ulteriormente chiara l’impossibilità di un dialogo, ma il frate non desiste cercando, sempre usando un tono sommesso, di essere ascoltato.  Ricorda che tutti saremo sottoposti al giudizio di Dio  e così dicendo mostra il teschietto di legno del rosario, quello che ricorda la vanità delle cose terrene.


Il frate insiste pazientemente nonostante i modi sgarbati e non desiste neppure quando don Rodrigo per sviare la questione gli rinfaccia la sua vita precedente e se ciò lo renda degno di indossare la veste da frate.


Lo scambio di battute si sussegue tra l’arroganza ed il sarcasmo del nobile e il tono conciliante del frate, fino a che don Rodrigo sfrontatamente si offre, per risolvere la questione, di prendere sotto la sua protezione la giovane che sta tanto a cuore a padre Cristoforo.


Il cinismo della proposta determina la rottura di ogni freno da parte del frate, tutti i suoi propositi di prudenza e pazienza vanno in fumo e trabocca la sua indignazione. L’urto diventa drammatico e inevitabile. Padre Cristoforo nel suo sdegno adesso si rivolge al suo interlocutore passando dal lei al voi e don Rodrigo gli risponde usando il tu del signorotto villano (Come parli, frate?...).


Padre Cristoforo pronuncia una vera e propria invettiva appassionata e violenta contro don Rodrigo che culmina nella frase: Verrà un giorno..., che suona come una predizione.
Don Rodrigo rimasto ammutolito di fronte alla veemenza del frate, alla minacciosa predizione reagisce con una sensazione di lontano e misterioso spavento e ricoprendo di epiteti padre Cristoforo lo caccia di casa.


Padre Cristoforo si calma di colpo e se ne va, lasciando don Rodrigo nella sala, camminare furioso avanti e indietro.


Il vecchio servitore

Quando padre Cristoforo chiude la porta della sala intravede il vecchio servitore che lo aveva accolto e condotto alla sala del banchetto, strisciare lungo la parete con fare guardingo.


Il vecchio servitore è al servizio di quella casa da più di quarant’anni, da prima che nascesse don Rodrigo, quando ancora c’era il padre. Allora, precisa la voce narrante, era tutta un’altra cosa, poi morto il padre, don Rodrigo si era circondato da un suo seguito di gaglioffi ma aveva ritenuto utile tenere il vecchio servitore, nonostante già anziano e diversissimo dal suo modo di essere, per due ragioni:

  1. Perché aveva un’alta opinione della dignità della casa;
  2. Perché molto esperto di cerimoniale.

Il servitore cantava sempre le lodi del casato di quando c’era il padre e disapprovava il nuovo corso intrapreso da don Rodrigo ma non avrebbe mai osato esprimere le sue critiche apertamente davanti al padrone, anche se spesso le bofonchiava tra i denti e per questo era oggetto di dileggio da parte degli altri servitori.


Al passaggio di padre Cristoforo il servitore gli fa cenno di seguirlo in un angolo buio e timoroso di essere udito, sottovoce, gli riferisce di essere al corrente del piano di don Rodrigo nei confronti di Lucia e che andrà da lui, al convento, il giorno seguente per parlargliene.


Padre Cristoforo benedice il vecchio servitore ed esce dal palazzotto.
Il frate è rinfrancato dal comportamento del servitore che interpreta come un segno del cielo, apparso all’improvviso senza che lui lo cercasse ed allora nonostante si senta stanco decide di recarsi dai suoi protetti per riferire quanto accaduto. Affretta dunque il passo per poter rientrare al convento prima di notte, come previsto dalla regola dei cappuccini.


A casa di Lucia

Nella casa di Lucia, nel frattempo, dopo che padre Cristoforo era uscito per recarsi da don Abbondio, tutti sono rimasti per qualche tempo tristi e silenziosi fino a che Agnese esordisce con una proposta per risolvere la questione, afferma, prima e forse meglio di quanto può fare padre Cristoforo.


Basta avere cuore e destrezza, dice la donna, per ottenere facilmente ciò che si vuole. La proposta consiste nell’organizzare il matrimonio di sorpresa davanti al curato in quanto non è necessario che questi sia consenziente ma è sufficiente che sia presente.


Agnese spiega che è necessario avere due testimoni e che bisogna presentarsi all’improvviso davanti al curato, in modo che non possa scappare, che si pronunci davanti a lui la formula del matrimonio ed il gioco è fatto.


Agnese riferisce il caso di una sua amica che volendo maritare un uomo contro la volontà dei suoi parenti, organizzò un matrimonio in quel modo, anche se poi se ne pentì nel giro di tre giorni. Certo, raccomanda, bisognava essere scaltri e veloci perché i parroci stanno all’erta e fanno di tutto, così come faceva Proteo per sottrarsi a chi voleva costringerlo a vaticinare, per riuscire a scappare,.


Lucia scettica domanda perché una proposta simile non sia venuta da padre Cristoforo ed Agnese dichiara che dai religiosi non è vista di buon occhio, tuttavia è tollerata. Il matrimonio a sorpresa è riprovevole per la chiesa ma valido. Per far comprendere meglio il concetto dice che è come colpire con un pugno un uomo, non è una cosa buona ma ormai non può certo neanche il papa annullare questa azione.


Nonostante Lucia non sia convinta e preferisca aspettare per avere il parere di padre Cristoforo Renzo insiste per perseguire questa nuova possibilità e pieno di entusiasmo va alla ricerca dei due testimoni.


Renzo e Tonio

Renzo si reca a casa di un certo Tonio e lo trova in cucina intento a preparare una piccola polenta di grano saraceno.


Tutta la famiglia di Tonio (madre, fratello, moglie e tre o quattro bambini) è in attesa che la scarsa cena venga servita. Non è una scena allegra in ragione della scarsità della porzione che spetta ad ognuno, certo non sufficiente a saziare, nonostante ciò, con la cortesia propria della povera gente, viene chiesto a Renzo se vuole favorire. Renzo rifiutando propone a Tonio di andare insieme a lui a desinare all’osteria per poter parlare tra loro. Proposta gradita anche perché toglie nella divisione della misera polenta uno dei commensali più temibile.


All’osteria Renzo fa la sua proposta a Tonio: gli offre di ripagare il debito che egli ha di 25 lire con don Abbondio ed in cambio Tonio deve fargli da testimone al matrimonio a sorpresa. Tonio accetta e gli propone come secondo testimone suo fratello Gervaso.
Si accordano quindi per rivedersi l’indomani mattina per definire la questione ed ognuno rientra a casa.


Conclusione

Renzo arriva trionfante a casa di Lucia e racconta alle due donne gli accordi stretti con Tonio.
Nel frattempo, Agnese per tutto il periodo in cui Renzo è stato via ha cercato di persuadere Lucia che continua a dubitare che questo tipo di matrimonio sia la soluzione più corretta e che non vuole ricorrere a sotterfugi e bugie.
Gli altri però non le badano ed Agnese solleva adesso un’altra questione alla quale nessuno ha ancora pensato: la perpetua, che non permetterà mai a Renzo e Lucia di entrare in canonica.
Agnese propone dunque di andare insieme ai due promessi sposi e distrarre la perpetua mentre loro si infilano nella canonica.


Adesso ad Agnese e Renzo rimane solo il difficile compito di persuadere Lucia e mentre stanno facendo opera di convincimento sentono i passi ed il fruscio della tonaca, come se fosse una vela che sbatte al vento, di padre Cristoforo, tutti si zittiscono e Agnese sottovoce raccomanda a Lucia di non raccontare nulla al frate del loro progetto








ANALISI DEL TESTO

 

INCIPIT

L’apertura del capitolo è sulla battuta: In che posso ubbidirla?, una formula di cortesia espressa da don Rodrigo che è stridente con il personaggio e la realtà delle cose, che suona come una sfida camuffata da inchino ma che serve a sottolineare l’ipocrisia di don Rodrigo e che il dialogo non sarà certo un parlare franco e pulito.


 

NUCLEI NARRATIVI

Nel VI capitolo dei  Promessi Sposi si possono distinguere 4 nuclei narrativi fondamentali:

  1. Colloquio privato tra Padre Cristoforo e don Rodrigo;
  2. L’intervento provvidenziale del vecchio servitore;
  3. Il piano architettato da Agnese del matrimonio a sorpresa;
  4. La conclusione in cui Renzo ha il colloquio con Tonio e poi rientra alla casa di Lucia dove poco dopo arriva anche padre Cristoforo




 

IL BENE E IL MALE

Il capitolo sesto si basa sulla contrapposizione frontale tra il bene e il male, fra padre Cristoforo che incarna i valori morali dalla parte del bene e don Rodrigo che è la forza del male. Eroe ed antieroe si fronteggiano.


 

IL COMPORTAMENTO DI DON RODRIGO

Don Rodrigo è l’antieroe perché è un personaggio privo di grandezza, rappresenta più la banalità del male che l’aspetto diabolico e affascinante dello stereotipo sette-ottocentesco del malvagio.


Nel sesto capitolo la personalità di don Rodrigo si delinea ulteriormente, egli incarna l’arrogante signorotto di provincia meschino e soverchiatore.


Trapela a tratti in lui la coscienza della propria malvagità ma egli continua a sostenerla con un atteggiamento forzatamente disinvolto e cinico. Ma la predizione di padre Cristoforo, Verrà un giorno..., colpisce nel profondo la sua coscienza ottenebrata, provocando, come sottolinea Manzoni: un lontano e misterioso spavento.


 

IL COMPORTAMENTO DI PADRE CRISTOFORO

Di fronte alla superbia e alla insolenza di don Rodrigo padre Cristoforo si sforza di mantenere un contegno umile e dimesso e di non arrivare allo scontro nonostante le continue provocazioni.


Ma padre Cristoforo è combattuto fra sentimenti e istinti contrastanti, in lui lottano l’uomo nuovo che cerca ogni giorno di attenersi alla virtù cristiana dell’umiltà e l’uomo vecchio impulsivo ed orgoglioso.


E’ la natura impetuosa dell’uomo vecchio che prevale in padre Cristoforo quando alla proposta sfrontata di don Rodrigo, che Lucia sia messa sotto la sua protezione, non trattenendo più lo sdegno dà sfogo alla rabbia, contenuta già troppo a lungo, in maniera appassionata e violenta fino ad arrivare a profetizzargli che la collera di Dio si abbatterà su di lui. Le sue frasi sono come lampi.


La calma che segue, il cessare di ogni impeto in padre Cristoforo in contrapposizione all’ira ingiuriosa del nobile, denotano la superiorità del frate e la distanza che separa la sua dalla coscienza di don Rodrigo.


 

IL LINGUAGGIO

Attraverso il linguaggio Manzoni dà un’accurata analisi psicologica di don Rodrigo e di padre Cristoforo e mostra il diverso atteggiamento rispetto alle norme sociali dei due personaggi, entrambi impegnati a perorare la loro causa:

  • padre Cristoforo difende l’amore della giustizia e l’affetto per Renzo e Lucia;
  • don Rodrigo difende il suo orgoglio e il suo potere.

I linguaggi a confronto sono:

  • L’oratoria sacra e la profezia di padre Cristoforo che usa un tono predicatorio e ricorre a citazioni bibliche come: il cuore di Faraone era indurito…, e predizioni: Verrà un giorno….
    Lo stile è semplice anche se vibrante e sostenuto, con ricorso frequente ad anafore;
  • don Rodrigo si esprime inizialmente utilizzando il linguaggio del codice dell’onore seicentesco, formale e ampolloso, ma sfocia poi nell’arroganza e nella sopraffazione degli insulti: escimi di tra’66 piedi, villano temerario, poltrone incappucciato.
    Lo stile è oscillante tra complicati giri di parole, doppiezze, ambiguità e scatti irosi che sfociano nell’ingiuria.

Manzoni vuole mettere in evidenza la differenza tra le due retoriche: la prima autentica e sincera, la seconda non autentica e che esprime odio, sia in maniera mascherata, attraverso i barocchismi del linguaggio, che in maniera esplicita, attraverso le offese.


Da notare il passaggio, nel momento clou dello scontro, dal lei rispettoso al voiindignato di padre Cristoforo per segnare maggior distacco dal suo interlocutore, mentre don Rodrigo passa al tu, abbassamento che è segno del carattere volgare e prepotente della sua personalità.


 

LA GESTUALITA’

Ampia importanza in questo capitolo è data, oltre che alle parole, ai gesti.


La gestualità di Cristoforo conferma i tratti del carattere del frate, di cui nel capitolo IV Manzoni aveva fatto una breve descrizione. Tra i gesti più significativi:

  • Il primo rilevante è lo scorrere dei grani del rosario tra le mani che diventa strumento di conforto e di moderazione per lo spirito impulsivo del cappuccino;
  • Nel mostrare poi il teschietto della corona ricorda a don Rodrigo la vanità delle cose terrene di fronte al destino mortale;
  • Quando don Rodrigo fa atto di lasciare la sala il frate gli so pone davanti con gran rispetto alzando le mani come per supplicare e per trattenerlo ad un punto;
  • Assume un atteggiamento minaccioso quando al limite dell’indignazione indietreggia di due passi, si appoggia sul piede destro, mette la mano destra sull’anca e alza la sinistra minacciosamente in aria;
  • Di fronte alla reazione violenta di don Rodrigo il frate riprende il controllo sulla propria indole focosa e ritira placidamente la mano, abbassa il capo e rimane immobile.

Il linguaggio gestuale di don Rodrigo illustra il mutare del suo atteggiamento con il procedere del colloquio:

  • Ostenta sicurezza quando nella scena iniziale troneggia in piedi al centro della sala;
  • Manifesta ben presto la voglia di interrompere il fastidioso colloquio (facendo atto di andarsene);
  • Dimostra di aver raggiunto l’apice del disagio e dell’angoscia quando fa l’atto di afferrare la mano del frate;
  • Diventa evidente la sua inferiorità e debolezza quando, all’uscita dalla sala del frate, percorre a passi infuriati il campo di battaglia, segno del prevalere in lui dell’istinto e dell’irrazionalità, mentre, in contrapposizione, padre Cristoforo ha recuperato tutto il suo autocontrollo e la razionalità.




 

IL VECCHIO SERVITORE

La disputa tra don Rodrigo e il frate è compresa tra l’apparizione e la riapparizione del vecchio servitore. Il vecchio servitore è visto da padre Cristoforo come strumento della Provvidenza: Ecco un filo… un filo che la provvidenza mi mette nelle mani.


 

LA PROPOSTA DI AGNESE

La proposta di Agnese suscita reazioni diverse da parte di Lucia e di Renzo che corrispondono alle loro differenze di temperamento:

  • Da parte di Lucia stupore più che fiducia;
  • Da parte di Renzo entusiasmo e l’impulso di fantasticare.

 

A CASA DI TONIO

Manzoni descrive la scena a casa di Tonio con dettaglio di particolari che rende percepibile al lettore l’atmosfera mesta e povera di questo interno famigliare. Nella scena emerge il riflesso della carestia che ha caratterizzato il periodo storico in cui si svolge il romanzo:

  • Negli occhi fissi con cui i tre o quattro ragazzetti guardano il padre preparare la polenta;
  • Nell’immagine della polenta scodellata, una piccola luna, in un gran cerchio di vapori.

Del resto, cenni alla carestia che incombe vengono fatti anche nella descrizione dell’osteria in cui Renzo e Tonio sono soli, giacchè la miseria aveva divezzati tutti i frequentatori, e dove viene fatto portare quel poco che si trovava.


 

FIGURE RETORICHE

Tra le principali figure retoriche utilizzate ci sono:


Anafora

  • Lei può…Lo può…;
  • Lei non crede…Lei sente…;
  • Qual gloria…qual gloria…;
  • E quel Dio…quel Dio…;
  • …un suo ministro…un suo ministro…;
  • Voi avete creduto che Dio... Voi avete creduto che Dio... Voi avete disprezzato...;
  • un filo… un filo;
  • come…come;

Antitesi

  • Se tu vuoi farmi un piccolo servizio, io te ne voglio fare uno grande – contrapposizione piccolo/grande;

Iperbole

  • la mole della polenta – si riferisce ad una piccola polenta da spartire in più persone e l’uso di questo termine è dunque esagerato, eccessivo;

Metafora

  • il rispetto che io porto al suo abito – al suo abito sta per alla sua condizione di frate;
  • le fiamme sul viso del frate – il viso rosso per la rabbia;
  • artigli del gentiluomo – dalle mani di don Rodrigo;
  • il campo di battaglia – la sala dove ha avuto luogo l’incontro;
  • qualche rimprovero tra i denti – sta per qualche critica bisbigliata;
  • fare il diavolo – sta per reagire, ribellarsi;
  • le tribolazioni aguzzano il cervello – le difficoltà rendono le persone più attente e scaltre;
  • mentre Renzo barattava i saluti con la famiglia – Renzo scambia (porge e riceve) i saluti con i componenti della famiglia;
  • Oggi mi butterei nel fuoco per te – Tonio è pieno di riconoscenza per Renzo per il pranzo offerto che gli dichiara di essere disposto a tutto per contraccambiare;
  • …e le toccherò una corda… - Agnese vuole distrarre la perpetua argomenti che lei possono intrattenerla;

Ossimoro

  • amor rabbioso – l’amore non può essere rabbioso;

Similitudine

  • col sembiante di chi inghiottisce una medicina molto amara – come chi deve mandar giù qualcosa di sgradevole;
  • e rimase immobile, come, al cader del vento, nel forte della burrasca, un albero agitato ricompone naturalmente i suoi rami, e riceve la grandine come il ciel la manda – l’immagine dell’albero quando si attenua il vento, nel culmine del temporale, rende perfettamente l’idea del momento di silenzio e di calma che segue il culmine del colloquio in cui la furia del prepotente si è sprigionata nella serie di epiteti (la grandine) rivolti al frate;
  • come Proteo dalle mani di coloro che volevano farlo vaticinare per forza – Proteo è un personaggio della mitologia greca, divinità marina che era in grado di mutare la propria forma assumendo altre sembianze. Era in grado di predire il futuro e spesso per sottrarsi a chi voleva costringerlo a vaticinare si trasformava in acqua, o in fuoco, o in belva, ecc.;
  • è come lasciar andare un pugno a un cristiano. Non istà bene; ma dato che gliel abbiate, né anche il papa non glielo può levare – spiegazione che si rifà al buon senso nonché al senso pratico delle persone semplici, del popolo;
  • diventerà lesto come un gatto e scapperà come il diavolo dall’acqua santa – due similitudini insieme a sottolineare la difficoltà ad incastrare uno come don Abbondio;
  • le badavan poco, come si suol fare con un fanciullo, al quale non si spera di far intendere tutta la ragione d’una cosa, e che s’indurrà poi, con le preghiere o con l’autorità, a ciò che si vuol da lui – le obiezioni di Lucia al matrimonio a sorpresa non vengono prese in considerazione da Renzo ed Agnese, convinti che riusciranno a convincerla;
  • un rumore di tonaca sbattuta, somigliante a quello che fanno in una vela allentata i soffi ripetuti del vento – l’immagine della vela fa cogliere al lettore l’aspetto corposo della realtà e del suono.




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