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Sezione Letteratura

Dei Sepolcri - IV parte

Parafrasi e analisi del carme

(Quarta parte, versi 213-295)

Ugo Foscolo

· Pubblicato ·

Nella quarta parte del carme Dei Sepolcri Foscolo celebra la funzione eternatrice della poesia.

La poesia si fa carico di quella che è la missione delle tombe: celebrare le virtù e preservarne la memoria nel tempo. Ne è un esempio per Foscolo la poetica di Omero che ha cantato la guerra di Troia mantenendo vivo in questo modo il ricordo dei valorosi protagonisti, sia i vincitori che gli sconfitti.


TESTO

PARAFRASI

[213] Felice te che il regno ampio de' venti,
Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!
E se il piloto ti drizzò l'antenna
oltre l'isole Egèe, d'antichi fatti
certo udisti suonar dell'Ellesponto
i liti, e la marea mugghiar portando
alle prode Retèe l'armi d'Achille


[213] [O] Ippolito (apostrofe), felice te, che nella tua giovinezza (a’ tuoi verdi anni - metafora) percorrevi (correvi) il mare (il regno ampio de’ venti perifrasi)!
E se il pilota (piloto) indirizzò (drizzò) la tua (ti) rotta (antenna sineddoche) oltre le isole Egèe, certo udisti le coste (i liti - latinismo) dell’Ellesponto [stretto dei Dardanelli] [ri]suonare (suonar) di antichi fatti, e [udisti] la corrente (la marea) rimbombare (mugghiar - latinismo) portando le armi di Achille alle coste (prode) del Capo Reteo (Retèe)

[220] sovra l'ossa d'Ajace: a' generosi
giusta di glorie dispensiera è morte;
senno astuto né favor di regi
all'Itaco le spoglie ardue serbava,
ché alla poppa raminga le ritolse
l'onda incitata dagl'inferni Dei.

[220] sopra le ossa di Aiace: la morte è giusta dispensatrice (dispensiera) di gloria verso i valorosi (a’ generosi); né l’astuta intelligenza (senno astuto), né il favore dei re (regi – Agamennone e Menelao) conservavano (serbava) a Ulisse (Itaco – perché originario dell’isola di Itaca) le difficili (ardue - latinismo) armi (spoglie ardue - ipallage), poiché (ché) l’onda incitata dagli dei dell’oltretomba (dagl’inferni Dei) le ritolse alla nave (poppa sineddoche) errabonda (raminga - ipallage - cioè alla nave di Ulisse destinata a lunghe peregrinazioni).

[226] E me che i tempi ed il desio d’onore
fan per diversa gente ir fuggitivo,
me ad evocar gli eroi chiamin le Muse
del mortale pensiero animatrici.
Siedon custodi de’ sepolcri, e quando
il tempo con sue fredde ale vi spazza
fin le rovine, le Pimplèe fan lieti
di lor canto i deserti, e l’armonia
vince di mille secoli il silenzio.

[226] E le Muse, animatrici del pensiero umano (del mortale pensiero animatrici), chiamano me (me… me anafora – il poeta stesso è chiamato in causa) ad evocare gli eroi [greci], me che i tempi [malvagi] e il desiderio (desio - latinismo) di onore fanno andare (ir - latinismo) esule fra popolazioni straniere (diversa gente).
Le Muse (le Pimplèe – dal Monte Pimpla sacro alle Muse) siedono custodi (custodi - metafora) dei sepolcri, e quando il tempo con le sue fredde ali (ale - metafora) vi distrugge perfino (vi spazza fin) le rovine (rovine - latinismo), [esse] allietano i deserti (deserti - metafora) con il loro canto, e l’armonia vince il silenzio di mille secoli.

[235] Ed oggi nella Troade inseminata
eterno splende a’ peregrini un loco,
eterno per la Ninfa a cui fu sposo
Giove, ed a Giove diè Dàrdano figlio,
onde fur Troia e Assàraco e i cinquanta
talami e il regno della giulia gente.

[235]  E oggi nella Troade [la regione di Troia] deserta (inseminata) splende eternamente (eterno…eterno - anafora) [davanti] ai viaggiatori (peregrini) un luogo (loco - latinismo) eterno [il sepolcro dell’Ilo antico Dardanide] per la ninfa [Elettra] di (a) cui Giove fu sposo e [che] diede (diè) a Giove il figlio Dàrdano [fondatore do Troia], da cui derivano (onde fur) Troia e Assàraco e i cinquanta figli sposati (talami - letti nunziali - metonimia) [di Priamo] e il regno della popolazione (gente) discendente da Iulo (giulia) [i Romani].

[241] Però che quando Elettra udí la Parca
che lei dalle vitali aure del giorno
chiamava a’ cori dell’Eliso, a Giove
mandò il voto supremo: - E se, diceva,
a te fur care le mie chiome e il viso
e le dolci vigilie, e non mi assente
premio miglior la volontà de’ fati,
la morta amica almen guarda dal cielo
onde d’Elettra tua resti la fama.

[241]  Perciò (Però che) quando Elettra udì la Parca [Atropo – che taglia il filo della vita] che la (lei) chiamava dalle vitali brezze (aure) della luce (del giorno - dalla vita) [per andare] alle danze (a’ cori) dell’Eliso [nell’oltretomba], rivolse (mandò) a Giove l’ultima (supremo) preghiera (voto - latinismo): E se – diceva – a te furono cari i miei capelli (le mie chiome) e il [mio] viso e le dolci veglie (vigilie - latinismo), e la volontà del destino (de’ fati) non mi concede (assente - da assentire) premio migliore [della morte], almeno proteggi (guarda) dal cielo l’amante (la…amica) morta [la sua tomba], così che (onde) resti memoria (la fama) della tua Elettra.

[250] Cosí orando moriva. E ne gemea
l’Olimpio; e l’immortal capo accennando
piovea dai crini ambrosia su la Ninfa,
e fe’ sacro quel corpo e la sua tomba.

[250] Così pregando (orando - latinismo) moriva. E (E…e…e…e - polisindeto) Giove (l’Olimpio - cioè abitatore dell’Olimpo) piangeva (gemea) di ciò (ne); e assentendo col capo immortale (l’immortal capo accennando) faceva piovere (piovea) dai capelli (dai crini) ambrosia sulla ninfa, e fece (fe’) sacri quel corpo e la sua tomba.

[254] Ivi posò Erittonio, e dorme il giusto
cenere d’Ilo; ivi l’iliache donne
sciogliean le chiome, indarno ahi! Deprecando
da’ lor mariti l’imminente fato;
ivi Cassandra, allor che il Nume in petto
le fea parlar di Troia il dí mortale,
venne; e all’ombre cantò carme amoroso,
e guidava i nepoti, e l’amoroso
apprendeva lamento a’ giovinetti.

[254] Qui (Ivi – sulla tomba di Elettra – ivi…ivi…ivi - anafora) ebbe sepoltura (posò) Erittonio [figlio di Dardano], e riposano (dorme) i resti del giusto Ilo (il giusto cenere d’Ilo); qui le donne troiane (l’iliache) scioglievano i capelli (le chiome), inutilmente (indarno) – ahi! – scongiurando di allontanare (deprecando - latinismo) l’imminente destino (fato - la morte) dai loro mariti; qui venne Cassandra, quando Apollo (il Nume) [entratole] in petto le faceva (le fea) predire (parlar) la fine (il dì mortale) di Troia; e cantò ai morti (all’ombre) un canto (carme) d’amore e [vi] guidava i nipoti, e insegnava (apprendeva)  ai giovanetti il pianto affettuoso (l’amoroso lamento – per il doloroso destino).

[263] E dicea sospirando: - Oh se mai d’Argo,
ove al Tidíde e di Laerte al figlio
pascerete i cavalli, a voi permetta
ritorno il cielo, invan la patria vostra
cercherete! Le mura, opra di Febo,
sotto le lor reliquie fumeranno.
Ma i Penati di Troia avranno stanza
in queste tombe; ché de’ Numi è dono
servar nelle miserie altero nome.

[263] E [Cassandra] diceva sospirando [ai nipoti]: O se mai il cielo vi consentirà (a voi permetta) di ritornare (ritorno) dalla Grecia (d’Argo - metonimia) dove nutrirete (pascerete) i cavalli [sarete cioè schiavi] per Diomede (al Tidíde - figlio di Tideo) e per Ulisse (di Laerte al figlio - figlio di Laerte), invano cercherete la vostra patria! Le mura, opera di Apollo (opra di Febo), fumeranno sotto le loro rovine (reliquie - latinismo).
Ma le divinità tutelari (i Penati) di Troia avranno dimora (stanza - latinismo) in queste tombe; perché è un dono degli dei (de’ Numi) conservare (servar - latinismo) la fama (altero nome) [anche] nelle sventure (miserie).  

[272] E voi, palme e cipressi che le nuore
piantan di Priamo, e crescerete ahi presto
di vedovili lagrime innaffiati ,
proteggete i miei padri: e chi la scure
asterrà pio dalle devote frondi
men si dorrà di consanguinei lutti,
e santamente toccherà l’altare.

[272] E voi palme e cipressi [simboli del valore e della morte] che le nuore di Priamo piantano, e [che] crescerete ahimè! presto innaffiati di lacrime vedovili (di vedovili lagrime innaffiati - metafora), proteggete i miei avi (proteggete i miei padri… proteggete i miei padri v.279 - anafora): e chi, pietoso (pio), asterrà la scure dalle fronde sacre (devote) si addolorerà meno (men si dorrà) per la perdita di parenti (consanguinei lutti) e toccherà santamente [in quanto puro] l’altare.

[279] Proteggete i miei padri. Un vedrete
mendico un cieco errar sotto le vostre
antichissime ombre, e brancolando
penetrar negli avelli, e abbracciar l’urne,
e interrogarle. Gemeranno gli antri
secreti, e tutta narrerà la tomba
Ilio raso due volte e due risorto
splendidamente su le mute vie
per far piú bello l’ultimo trofeo
ai fatati Pelídi. Il sacro vate,
placando quelle afflitte alme col canto,
i prenci argivi eternerà per quante
abbraccia terre il gran padre Oceàno.

[279] Proteggete i miei avi. Un giorno () vedrete un cieco (un cieco - Omero) mendicante (mendico - latinismo) aggirarsi (errar - latinismo) sotto le vostre ombre [degli alberi] antichissime, e penetrare nei loculi (avelli - latinismo) a tentoni (brancolando), e abbracciare le urne, e interrogarle. Le cavità (gli antri) nascoste (secreti) gemeranno, e tutte le tombe narreranno (tutta narrerà la tomba - personificazione) di Troia (Ilio), distrutta (raso) due volte [da Ercole e dalle Amazzoni] e due [volte] risorta splendidamente sulle vie silenziose (su le mute vie – cioè sulla vita spenta dalla distruzione precedente- ipallage) per rendere (far) più bella la vittoria finale (l’ultimo trofeo - metonimia) ai figli di Peleo (Pelídi – i greci Achille e Pirro) mandati dal fato (fatati). Il poeta (sacro vate - Omero), consolando (placando) con la poesia (col canto) quelle anime (alme - latinismo) afflitte [i troiani], renderà eterna (eternerà) in tutto il mondo (per quante abbraccia terre il gran padre Oceanoperifrasi) la memoria dei capi Achei (prenci argivimetonimia – principi di Argo).

[292] E tu onore di pianti, Ettore, avrai,
ove fia santo e lagrimato il sangue
per la patria versato, e finché il Sole
risplenderà su le sciagure umane.

[292] E anche tu Ettore, avrai l’onore del pianto ovunque (ove) sarà (fia) santo e degno di lacrime (lagrimato) il sangue versato per la patria [dovunque vi sarà civiltà], e finché il sole risplenderà sulle sciagure umane [finché durerà l’uomo].







Riassunto del testo

  • Vv. 213-219 Foscolo ricorda che Pindemonte in gioventù aveva navigato sulle rotte greche, percorrendo le vie degli eroi greci, in quel mare che, secondo la mitologia, avrebbe deposto sulla tomba del valoroso Aiace le armi di Achille che Ulisse aveva ottenuto con l’inganno, spingendo Ajace al suicidio.

Episodio omerico: Aiace

Morto il grande Aiace, i maggiori eroi greci aspiravano ad averne le spoglie, ovvero le armi. Ulisse con la sua furbizia e con l’inganno ebbe la meglio, privando Aiace che le avrebbe onestamente meritate e spingendolo al suicidio per la disperazione.
Mentre Ulisse tornava verso Itaca un’onda fece cadere le armi di Achille dalla nave e le sospinse sulla tomba di Aiace ristabilendo così la giustizia.


  • Vv. 220-225 l’episodio dimostra il valore morale della morte che compensa le ingiustizie della vita. Le tombe devono anche rendere giustizia dopo la morte riconoscendo i meriti degli uomini virtuosi che non hanno avuto da vivi il giusto riconoscimento.
  • Vv. 226-234 le Muse che rappresentano l’ispirazione poetica, chiamano Foscolo a svolgere la funzione di rievocare le imprese eroiche del passato, dando voce alle tombe e facendo da mediatore tra il passato dei morti ed il presente dei vivi. Quando il tempo distruggerà persino le rovine delle tombe, la poesia, non soggetta alle leggi del tempo, subentra nella funzione di memoria storica, restituendo al passato la sua voce, superando l’oblio che consegue alla morte (vince di mille secoli il silenzio). Alla poesia spetta il compito di perpetuare il ricordo delle gesta eroiche che il tempo disperde.
  • Vv. 235-240 rievoca il mito di troia facendo riferimento alle tombe dei progenitori di Troia: nella Troade vi è un luogo, il sepolcro di Ilo, fondatore di Troia, testimonianza della discendenza troiana. Discendenza che ha la sua origine in Dardano, nato dall’unione di Elettra con Giove, da cui tutta la stirpe troiana: Assaraco, i 50 figli di Priamo fino ai discendenti di Iulo che diedero origine alla Gens Giulia e a Roma.

La discendenza troiana

La ninfa Elettra, figlia di Atlante, ebbe da Giove, suo amante il figlio Dardano, iniziatore della progenie troiana, da cui derivano due discendenze:

  • Assaraco, da cui discendono: Anchise, Enea e Iulo;
  • Ilo, da cui discendono: Priamo con i suoi 50 figli, Ettore e Cassandra.

Secondo la leggenda e come raccontato da Virgilio nell’Eneide, Enea fuggito da Troia, dopo la sua caduta in mano ai greci, approderà sulle coste laziali, dove il figlio Iulo darà origine alla gens Giulia e a Roma.


  • Vv. 241-249 quando Elettra, madre di Dardano, primo re di Troia, sentì essere giunto il momento dell’Eliso, cioè della morte (l’Eliso secondo la mitologia è il luogo delle anime giuste dopo la morte), invoca Giove, che non può concederle l’immortalità (non mi assente premio miglior), di essere almeno ricordata anche dopo la morte.
  • Vv. 250-253 alla morte di Elettra Giove esaudendo la richiesta che lei gli ha fatto sparge l’ambrosia, il nettare degli dei che rende immortali, sul corpo e sulla tomba di Elettra rendendo in tal modo la sua fama eterna.
  • Vv. 254-262 dove era la tomba di Elettra riposarono poi i suoi discendenti: Erittonio, figlio di Dardano capostipite dei troiani e Ilo, nipote di Erittonio e nonno di Priamo; lì vennero le donne troiane a piangere sulla sorte dei propri mariti guerrieri; lì venne Cassandra a cantare la sua profezia e ad insegnare ai giovani nipoti l’amore verso i morti e versi i vivi destinati a perire.

Cassandra

Cassandra è la più bella delle figlie di Priamo, secondo il mito fu amata da Apollo, che le diede il dono della profezia, ma anche condannata da Apollo, che voleva vendicarsi del fatto che lei non ricambiasse il suo amore, a non essere mai creduta.


  • Vv. 263-271 Cassandra predice ai giovani nipoti il loro destino di schiavi al servizio dei condottieri greci vincitori e l’impossibilità di poter tornare, qualora ne avessero la possibilità, a Troia, perché distrutta dai greci. Potrebbero però trovare le divinità patrie e di conseguenza la possibilità di ricostruire in altri luoghi una nuova città.
  • Vv. 272-278 il discorso di Cassandra continua con la premonizione della caduta di Troia attraverso l’immagine delle mogli dei figli di Priamo (le nuore) piangenti, per i mariti uccisi dai greci, sulle piante di palme e cipressi che ornano le tombe degli antenati troiani. Cassandra afferma che chi saprà, tra i greci vittoriosi, rispettare queste piante subirà meno lutti tra i propri cari e avrà accesso al cielo (profezia sottintesa di sventura per i greci che non dimostrino pietà per i vinti e rispetto per la loro memoria).
  • Vv. 279-291 Cassandra ha la visione di un cieco mendicante che si aggira tra i resti di Troia, è Omero di cui ella predice il suo futuro compito: richiamare in vita le vicende di Troia, due volte distrutta (prima da Ercole e poi dalle Amazzoni) e due volte risorta fino alla sua definitiva caduta, attraverso la poesia, rendendo così eterne quelle vicende storiche e dando riconoscimento anche agli sconfitti (funzione eternatrice della poesia).
  • Vv. 292-295 Cassandra si rivolge infine ad Ettore, l’eroe troiano sconfitto, ucciso da Achille, a cui attraverso la poesia verrà riconosciuta la grandezza e il suo sacrificio finchè esisterà il mondo e la civiltà.




Analisi del testo

Il fulcro di questa quarta parte del Carme risiede nei versi (230-234) in cui viene richiamata la funzione eternatrice della poesia, la cui forza risiede nel restituire al passato la sua voce, andando oltre la distruzione compiuta dal tempo.
Omero diventa il simbolo stesso della poesia eternatrice e incarna il poeta vate, ovvero il poeta guida che, nonostante sia cieco, riesce a vedere oltre il visibile, ciò che tutti gli altri non vedono. È grazie a lui se l’epopea troiana diventa eterna e se le vicende di Troia sono arrivate fino a noi.
Tutta l’ultima parte del Carme è ambientata in Grecia e riassume alcuni dei motivi portanti dell’intero carme:

  • Il motivo degli affetti privati che, non rassegnandosi alla morte della persona cara, vedono nella sua tomba una forma di sopravvivenza, emerge nella preghiera di Elettra in punto di morte a Giove;
  • Il motivo del sepolcro come espressione di civiltà nel culto dei propri morti è ravvisabile nelle tombe troiane in cui vengono custoditi i Penati, divinità tutelari di un popolo;
  • Il motivo della poesia che riscatta le azioni eroiche dall’oblio ridandogli il giusto valore, trova espressione nel sacrificio di Ettore cantato da Omero.

La concezione laica e materialistica di Foscolo, viene ribadita anche in questa quarta parte con la conclusione che afferma: ”finchè il sole / risplenderà sulle sciagure umane” (vv.294-295), legando la durata del genere umano ad una ragione materiale: la luce del sole.


I riferimenti classici

Vi sono diversi riferimenti classici nel testo:

  • reminiscenze di testi antichi;
  • forme e termini latineggianti;
  • riferimenti mitologici, per es.:
    • vv.217/225 l’episodio delle armi di Aiace;
    • vv.228/234 richiamo alle Muse, le divinità preposte alle arti e secondo il mito figlie della Memoria;
    •  vv.235/253 il mito di Giove ed Elettra;
    • vv.263/295 La figura di Cassandra.




Le parole di Cassandra

Le parole di Cassandra chiudono il carme, iniziando dal v.263 fino alla fine:

  • Vv.263-271: si rivolge ai nipoti;
  • Vv.272-291: parla agli alberi protettivi delle memorie patrie e del dovere di averne rispetto anche da parte dei vincitori;
  • Vv.293-295: l’interlocutore è Ettore, l’eroe simbolo degli sconfitti;

Cassandra conclude facendo riferimento alla durata della memoria storica grazie alla funzione dei poeti.
Il tono del discorso di Cassandra è elegiaco e malinconico con una punta di risentimento quando si rivolge ai greci non rispettosi delle memorie dei vinti.


Figure retoriche

Approfondimento di alcune figure retoriche:
Anastrofe, molto numerose, le più significative sono:

  • giusta di glorie dispensiera è morte, v.221;
  • me ad evocar gli eroi chiamin le Muse, v.228
  • del mortale pensiero animatrici, v.229
  • e l’armonia / vince di mille secoli il silenzio, vv.233-234
  • eterno splende a’ peregrini un loco, v.236
  • a te fur care le mie chiome e il viso, v.245
  • e non mi assente / premio miglior la volontà de’ fati, vv.246-247
  • la morta amica almen guarda dal cielo, v.248
  • onde d’Elettra tua resti la fama, v.249
  • E ne gemea / l’Olimpio, vv.250-251
  • ove al Tidíde e di Laerte al figlio, v.264
  • sotto le lor reliquie fumeranno, v.268
  • di vedovili lagrime innaffiati, v.274
  • e chi la scure / asterrà, vv.275-276
  • i prenci argivi eternerà, v.290
  • e tu onore di pianti, Ettore, avrai, v.292
  • il sangue / per la patria versato, vv.293-294

Ipallage

  • spoglie ardue, v.223 - non sono le armi ad essere ardue, cioè impegnative, ma colui che le ha indossate;
  • poppa raminga, v.224 – non è la poppa ad essere raminga ma è Ulisse;
  • su le mute vie, v.286 - non sono le vie ad essere mute ma coloro che le abitavano.

Iperbato

  • Felice te che il regno ampio de' venti, / Ippolito, a' tuoi verdi anni correvi!, vv.213-214
  • d'antichi fatti / certo udisti suonar dell'Ellesponto / i liti, vv.216-218
  • che lei dalle vitali aure del giorno / chiamava a’ cori dell’Eliso, vv.242-243
  • ivi Cassandra, allor che il Nume in petto / le fea parlar di Troia il dí mortale, /venne, vv.258-260
  • Oh se mai d’Argo, / ove al Tidíde e di Laerte al figlio / pascerete i cavalli, a voi permetta / ritorno il cielo, invan la patria vostra / cercherete!, vv.263-267
  • che le nuore / piantan di Priamo, vv.272-273
  • tutta narrerà la tomba / Ilio, vv.284-285

Iperbole

  • vince di mille secoli il silenzio, v.234

Metonimia

  • Argo, v.263 – Foscolo utilizza il nome della città greca per riferirsi alla nazione, alla Grecia;

Perifrasi

  • il regno ampio de' venti, v.213 – perifrasi per dire il mare;
  • Elettra udí la Parca / che lei dalle vitali aure del giorno / chiamava a’ cori dell’Eliso, vv.241-243 – perifrasi per dire: quando Elettra sentì di essere giunta al momento della morte. Come nel resto dei Sepolcri anche in questa quarta parte, la morte non viene richiamata direttamente ma allusa attraverso perifrasi che negano la vita;
  • per quante abbraccia terre il gran padre Oceano, vv.290-291 - perifrasi per dire ovunque in base alla credenza degli antichi greci che Oceano fosse il fiume che scorreva ai margini dei continenti circondando tutte le terre emerse (vedi Virgilio, Georgiche, IV, 382: “Oceanumque patrem rerum”).

Sineddoche

  • antenna, v.215 – riferimento all’asta che sorregge la vela, sta quindi per vela e perciò la direzione della nave data in seguito al manovrare la vela;





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