Pur rimanendo dell’opinione che nessun conforto offra la tomba al defunto Foscolo riflette sul grande valore che il sepolcro ha per i vivi ed analizza il significato terreno e umano della morte.
TESTO
PARAFRASI
Deorum manium iura sancta sunto
A IPPOLITO PINDEMONTE
[1] All’ombra de’ cipressi e dentro l’urne
Confortate di pianto è forse il sonno
Della morte men duro? Ove più il Sole
Per me alla terra non fecondi questa
Bella d’erbe famiglia e d’animali,
E quando vaghe di lusinghe innanzi
A me non danzeran l’ore future,
Nè da te, dolce amico, udrò più il verso
E la mesta armonia che lo governa,
Nè più nel cor mi parlerà lo spirto
Delle vergini Muse e dell’Amore,
Unico spirto a mia vita raminga,
Qual fia ristoro a’ dì perduti un sasso
Che distingua le mie dalle infinite
Ossa che in terra e in mar semina morte?
Epigrafe
DEDICA
[1] Il sonno eterno (della morte) è forse meno doloroso (duro) nei cimiteri (all’ombra de’ cipressi - perifrasi) e dentro le tombe (l’urne – metonimia) consolate dal pianto [dei propri cari]? (prima domanda retorica) Quando (ove - quando) il sole (personificazione) ai miei occhi (per me) non fecondi più sulla (alla) terra questa bella popolazione di piante (bella d’erbe famiglia) e di animali, e quando, davanti (innanzi) a me, non danzeranno più le ore future attraenti (vaghe) di belle promesse (lusinghe), né sentirò più la tua poesia (il verso), dolce amico (apostrofe – si riferisce a Pindemonte), e l’armonica malinconia (mesta) che la anima (governa), e lo spirito della poesia (delle vergini Muse) e dell’Amore non parleranno più al mio cuore, solo conforto (unico spirto) per la mia vita randagia (raminga), quale consolazione (ristoro) sarà (fia) per i miei giorni (a’ dì) perduti una lapide (sasso – metonimia) che distingua le mie ossa dalle infinite altre ossa che la morte sparge (semina) sia per terra che per mare? (seconda domanda retorica)
[16] Vero è ben, Pindemonte! Anche la Speme,
Ultima Dea, fugge i sepolcri; e involve
Tutte cose l’obblio nella sua notte;
E una forza operosa le affatica
Di moto in moto; e l’uomo e le sue tombe
E l’estreme sembianze e le reliquie
Della terra e del ciel traveste il tempo.
Ma perchè pria del tempo a sè il mortale
Invidierà l’illusion che spento
Pur lo sofferma al limitar di Dite?
Non vive ei forse anche sotterra, quando
Gli sarà muta l’armonia del giorno,
Se può destarla con soavi cure
Nella mente de’ suoi? Celeste è questa
Corrispondenza d’amorosi sensi,
[16] E’ proprio (ben) vero, Pindemonte! (apostrofe) Anche la speranza (speme – latinismo - personificazione), ultima dea (riferimento al detto Spes ultima dea, speranza ultimo appiglio per gli uomini), abbandona (fugge) le tombe (i sepolcri); e l’oblio avvolge (involve) tutte le cose nella sua oscurità (notte); e un’operosa forza le trasforma continuamente (le affatica) di movimento in movimento (di moto in moto); e il tempo tramuta (traveste) sia (e…e) l’uomo, sia le sue tombe, sia i suoi resti (estreme sembianze), sia tutto ciò che rimane (reliquie) della terra e del cielo.
Ma perché l’uomo (il mortale) si dovrebbe privare (invidierà – da costrutto latino invidere sibi = privarsi) prima del tempo dell’illusione che [una volta] morto (spento), lo trattiene (lo sofferma) ancora (pur) sulle soglie (al limitar) dell’oltretomba (di Dite - latinismo)? (Terza domanda retorica)
Egli (ei) non vive, forse, anche sottoterra, quando l’attrattiva (armonia) della vita (giorno) gli sarà impercettibile (muta), se potrà risvegliarla (destarla – si riferisce all’illusione), attraverso il pietoso culto dei morti (soavi cure), nella mente dei suoi cari? (Quarta domanda retorica) Questa corrispondenza di sentimenti amorosi (d’amorosi sensi) è divina (celeste),
[31] Celeste dote è negli umani; e spesso
Per lei si vive con l’amico estinto
E l’estinto con noi, se pia la terra
Che lo raccolse infante e lo nutriva,
Nel suo grembo materno ultimo asilo
Porgendo, sacre le reliquie renda
Dall’insultar de’ nembi e dal profano
Piede del vulgo, e serbi un sasso il nome,
E di fiori odorata arbore amica
Le ceneri di molli ombre consoli.
[31] è una dote divina (celeste dote) negli uomini; e, spesso, grazie a lei (per lei) si vive con l’amico defunto (estinto) e lui vive con noi (l’estinto con noi), se la terra pietosa (pia) che lo accolse (raccolse) neonato (infante) e che lo ha nutrito, porgendogli l’ultimo riparo (asilo) nel suo grembo materno, renda inviolabili (sacre) i suoi resti (le reliquie) dalle offese (dall’insultar) delle piogge (de’ nembi - metonimia) e dal piede profanatore (profano) degli uomini (vulgo - popolo), e una lapide (sasso - metonimia) conservi (serbi) il nome, e un albero (arbore - latinismo) amico profumato (odorata) di fiori consoli le ceneri con le [sue] ombre gradevoli (molli).
[41] Sol chi non lascia eredità d’affetti
Poca gioia ha dell’urna; e se pur mira
Dopo l’esequie, errar vede il suo spirto
Fra ’l compianto de’ templi Acherontei,
O ricovrarsi sotto le grandi ale
Del perdono d’Iddio: ma la sua polve
Lascia alle ortiche di deserta gleba
Ove nè donna innamorata preghi,
Nè passeggier solingo oda il sospiro
Che dal tumulo a noi manda Natura.
[41] Solo chi non lascia eredità di affetti ha poca gioia dalla tomba; e se anche (pur) guarda (mira) oltre (dopo) la [propria] sepoltura (l’esequie), vede la propria (suo) anima (spirto) vagare (errar) tra i lamenti (fra ’l compianto – cit. dantesca) dei luoghi (templi) infernali (acherontei – dell’Acheronte, il fiume degli Inferi – metonimia), o rifugiarsi (ricovrarsi) sotto le grandi ali (ale) del perdono di Dio (metafora – per dire Purgatorio – immagine biblica): ma lascia le sue ceneri (la sua polve) alle ortiche di una terra (gleba) deserta, dove non (nè) pregherà [nessuna] donna innamorata, né un passante solitario (passeggier solingo) sentirà il sospiro che la natura manda a noi dalla tomba (dal tumulo).
[50] Pur nuova legge impone oggi i sepolcri
Fuor de’ guardi pietosi, e il nome a’ morti
Contende. E senza tomba giace il tuo
Sacerdote, o Talia, che a te cantando
Nel suo povero tetto educò un lauro
Con lungo amore, e t’appendea corone;
E tu gli ornavi del tuo riso i canti
Che il lombardo pungean Sardanapalo,
Cui solo è dolce il muggito de’ buoi
Che dagli antri abduani e dal Ticino
Lo fan d’ozi beato e di vivande.
[50] Tuttavia (pur - avversativa) una nuova legge [l’editto di Saint-Cloud] oggi impone [che] le tombe [siano] collocate lontane dagli sguardi pietosi, e toglie (contende) la fama (il nome) ai morti. E senza tomba giace il tuo sacerdote (sacerdote - riferimento a Parini - metafora), o Talia (Talia - musa della poesia satirica - apostrofe), che poetando (cantando) per (a) te coltivò (educò – latinismo – nel senso di fece crescere) nella sua povera casa (tetto - sineddoche) con amore di lunga durata (lungo amore), un alloro (lauro – simbolo della poesia - metafora), e ti consacrò (t’appendea - latinismo) le sue opere (corone); e tu gli ornavi con il tuo sorriso (riso) le poesie (i canti) che criticavano (pungean) l’aristocratico lombardo (Sardanapalo), al quale è gradito (è dolce) solo il muggito dei buoi che dalle rive dell’Adda (abduani – Abdua = Adda in latino ) e dal Ticino lo rendono (fan) beato di ozi e di vivande.
[62] O bella Musa, ove sei tu? Non sento
Spirar l’ambrosia, indizio del tuo nume,
Fra queste piante ov’io siedo e sospiro
Il mio tetto materno. E tu venivi
E sorridevi a lui sotto quel tiglio
Ch’or con dimesse frondi va fremendo
Perchè non copre, o Dea, l’urna del vecchio,
Cui già di calma era cortese e d’ombre.
Forse tu fra plebei tumuli guardi
Vagolando, ove dorma il sacro capo
Del tuo Parini? A lui non ombre pose
Tra le sue mura la città, lasciva
D’evirati cantori allettatrice,
Non pietra, non parola; e forse l’ossa
Col mozzo capo gl’insanguina il ladro
Che lasciò sul patibolo i delitti.
[62] O bella Musa (o bella Musa - apostrofe), dove sei? Non sento il profumo dell’ambrosia (spirar l’ambrosia – l’ambrosia era il cibo degli dei), indizio della tua divinità (nume), tra queste piante dove sono seduto e penso con tristezza (sospiro) alla mia casa (tetto - sineddoche) materna. Un tempo però (e) venivi e gli sorridevi [a Parini] sotto quel tiglio che ora freme con fronde tristi (dimesse), perché non copre la tomba (l’urna) del vecchio [Parini], che (cui) in passato (già) aveva protetto (era cortese) con ombra e tranquillità.
Forse tu [Musa] cerchi (guardi) vagando (vagolando) fra le tombe (tumuli) umili (plebei) dove riposi (dorma) la sacra testa del tuo Parini? La città [Milano] corrotta (lasciva), amante (allettatrice) dei cantanti castrati (d’evirati cantori), non pose in suo onore (a lui) alberi (ombre – metonimia) tra le sue mura, né (non) lapidi (pietra), né (non) iscrizioni (parola); e forse [le sue] ossa sono ora insanguinate dalla testa mozzata (mozzo capo) di un ladro, che scontò (lasciò) con il patibolo i propri delitti.
[78] Senti raspar fra le macerie e i bronchi
La derelitta cagna ramingando
Su le fosse e famelica ululando;
E uscir del teschio, ove fuggìa la Luna,
L’ùpupa, e svolazzar su per le croci
Sparse per la funerea campagna,
E l’immonda accusar col luttuoso
Singulto i rai di che son pie le stelle
Alle obbliate sepolture. Indarno
Sul tuo poeta, o Dea, preghi rugiade
Dalla squallida notte. Ahi! sugli estinti
Non sorge fiore ove non sia d’umane
Lodi onorato e d’amoroso pianto.
[78] Senti raspare tra le macerie e le sterpaglie (i bronchi) la cagna randagia (derelitta – dal latino relinquere = lasciare) che va errando (ramingando) sulle fosse e ulula famelica; e l’upupa uscire dal teschio, dove fuggiva (fuggìa) la [luce della] luna, e svolazzare intorno alle (su per le) croci sparse per il camposanto (funerea campagna), e [senti] l’uccello immondo (l’immonda = l’upupa) rimproverare (accusar) con il suo canto (singulto) funebre (luttuoso) i raggi (i rai) dei quali (di che) le stelle si mostrano (son) pietose (pie) verso le (alle) sepolture dimenticate (obbliate). Inutilmente (indarno), o Dea (o Dea - apostrofe), preghi [che] sul tuo poeta [Parini] [cada la] rugiada (rugiade) dalla notte tetra (squallida). Ahimè! Sui morti (estinti) non sorge [alcun] fiore quando (ove) non sia onorato da lodi umane e da pianto affettuoso (amoroso).
Vedi anche la parafrasi delle altre sequenze del carme:
I Sepolcri - II parte vv.91-150 -
Epigrafe
L’epigrafe che apre il carme Dei sepolcri, Deorum manium iura sancta sunto, significa: i diritti degli dei Mani siano sacri. E’ una citazione (Cicerone, De Legibus II, v.9) da una legge latina dell’antichissima legge delle Dodici tavole. Gli dei Mani erano le anime dei defunti. L’epigrafe è funzionale al testo per commentarlo e metterne in rilievo il significato.
Dedica
La dedica è per l’amico Ippolito Pindemonte, poeta illustre dell’epoca traduttore in versi dell’Odissea di Omero.
Pindemonte è il destinatario del testo in forma di epistola ed a lui Foscolo più volte si rivolge nel corso dell’opera.
Anche Pindemonte in quegli anni scrisse un poemetto in 4 libri dal titolo I Cimiteriin cui, diversamente da Foscolo, affrontava la tematica da una prospettiva cattolica e spirituale.
Incipit
Il carme inizia con due domanda retoriche basate sullo stesso concetto e che chiedono se la sepoltura, con i suoi riti e i suoi onori, può offrire conforto al sepolto? La risposta è implicita ed è negativa. Emerge la visione laica di Foscolo, in sintonia con le correnti di pensiero materialista e illuminista del Settecento.
CARME:
Il termine carme deriva dal latino carmen che significa canto, poesia ed in particolare indica i componimenti poetici di forma classica che lodano un fatto, una persona o una consuetudine.
Vi è anche un’altra accezione del termine, secondaria, che è quella di canto legato ad una profezia.
Nel caso dell’opera Dei Sepolcri si tratta di un’epistola in versi sciolti indirizzata all’amico Ippolito Pindemonte.
Temi
Il testo Dei Sepolcri è di carattere argomentativo filosofico e in questa prima parte Foscolo affronta la tematica:
- dell’utilità delle tombe e dei riti dedicati ai morti.
L’ispirazione di Foscolo non è religiosa ma laica, civile e politica.
Riassunto
- vv.1-15 – Foscolo rispondendo alle due domande retoriche, che aprono e chiudono questa sezione del carme, afferma che il sepolcro non porta alcun beneficio al defunto. Egli esaltando la gioia della vita sottolinea l’inesorabile significato negativo della morte con la quale l’incanto della vita svanisce per sempre;
- vv. 16-25 – Rivolgendosi a Pindemonte afferma che non vi è alcuna speranza di vita dopo la morte, in quanto la condizione umana è pura materialità e la natura è un continuo trasformarsi di tutte le cose (meccanicismo). L’uomo non può garantire nessuna durata nel tempo né a se stesso né alla propria memoria.
Foscolo ricorrendo ancora allo strumento delle domande retoriche si domanda però: perché negarsi l’illusione data dal rito funebre che permette di mantenersi legati al proprio caro deceduto e che permette di prolungare con il ricordo la sua vita? La tomba può rappresentare l’illusione di poter alimentare ancora il vincolo affettivo che legava i vivi e i morti e di continuare ad amare coloro che non ci sono più. - vv.26-50 – Il sentimento di affetto per i morti è un dono soprannaturale proprio dell’uomo (una sua dote) che permette, al di là dei rigidi limiti imposti dalla natura, di ricevere dalla sepoltura un prolungamento, anche se illusorio, dell’esistenza terrena. L’unica eccezione è rappresentata da chi muore senza affetti: nessuno infatti coltiverà la sua memoria. Egli può solo immaginare per sé una vita ultraterrena, quindi temere l’inferno o sperare nella salvezza, ma delle sue spoglie non rimarrà memoria e diventeranno solo parte del terreno;
- vv.51-69 – Foscolo fa riferimento all’editto di Sant-Cloud, la nuova legge napoleonica che vuole negare il valore del sepolcro, spostando i cimiteri fuori dai luoghi abitati, e vietando le indicazioni dei nomi sulle tombe. Egli ne dimostra gli effetti negativi in riferimento alla figura illustre del poeta Parini che giace sepolto in modo anonimo, lontano dai luoghi a lui cari, forse accanto ad un delinquente comune, mentre meritava, per la sua arte poetica, di avere degna sepoltura sotto il tiglio alla cui ombra era solito riposare e meditate quando era in vita (riferimento ai giardini di via Palestro a Milano).
- vv.70-90 – Foscolo critica la città di Milano in cui venivano osannati i giovani cantanti castrati mentre un artista del livello di Parini veniva ignorato e dopo la sua morte non venne onorato con una degna sepoltura (finì nelle fosse comuni).
La prima parte del carme si chiude in modo lugubre con la tetra immagine di un cimitero notturno, che richiama l’inferno dantesco, in cui si aggirano una cagna randagia affamata e un malaugurante uccello notturno che esce dal teschio dove si era rifugiata per evitare i raggi della luna che introduce il discorso della funzione civile del sepolcro.
Analisi del testo
Dei Sepolcri vengono definiti carme nel senso classico del termine in quanto poesia solenne e di impegno civile.
Questa prima parte del carme (vv.1-90) è incentrata sul valore affettivo dei sepolcri.
Il testo riesce a trovare un equilibrio dialettico tra la visione materialista e la visione civile attraverso un’efficace strutturazione tematica:
- Foscolo pur affermando nei primi versi (in particolare i primi 22 versi) che dal punto di vista del pensiero materialista e laico i sepolcri siano inutili per i morti, non potendo riscattare la perdita della vita che è irreparabile, tuttavia hanno senso per i vivi, i quali possono trarre dai sepolcri l’illusione della vita dopo la morte nel ricordo dei propri cari, pianti sulle tombe, e permettono di mantenere un contatto tra vivi e morti.
- Per questo L’Editto di Saint-Cloud è impietoso per Foscolo perché, pur basandosi su un principio giusto che è l’egualitarismo sociale, nega quest’illusione e la possibilità del dialogo tra i vivi e i morti e condanna all’anonimato uomini di grande valore, illustri come Parini, che giace in una fossa comune. Il discorso si sposta dunque dal piano individuale a quello istituzionale, civile in cui il sepolcro diventa il riferimento per un’intera comunità per mantenere la memoria e l’insegnamento dei personaggi illustri.
Influenza di Lucrezio
Vi sono diversi riferimenti classici, non solo ad autori letterari ma anche filosofici, come per esempio a Lucrezio il cui influsso si rivela nella concezione materialistica che emerge particolarmente ai versi 19-20, nel concetto dei processi della natura che coinvolgono tutte le cose in un continuo divenire (omnia magrant / omnia commutat natura et vertere cogit – vv. 830-831 De Rerum natura : tutto passa, tutto cambia e si trasforma agli ordini della natura).
Editto Saint-Cloud
L’editto di Saint-Cloud, promulgato il 5 settembre 1806, estendeva alle provincie italiane una normativa già applicata in Francia dal 1804 che vietava la sepoltura nei centri abitati e le iscrizioni funerarie dovevano essere uguali per tutti, anonime e relegate ai margini dei cimiteri, in modo da essere consone allo spirito della Rivoluzione francese.
L’editto provoca un dibattito internazionale intorno alla questione delle sepolture ed il Foscolo pur rimanendo su un punto di vista materialista e laico si schiera anch’egli contro la regolamentazione francese delle sepolture.
SARDANAPALO:
Sardanapalo, re assiro famoso per essere vissuto dedito agli agi e alla lussuria e per questo era considerato nel Medioevo simbolo di lusso e di vizio. Foscolo lo utilizza per indicare il nobile dedito al vizio e al lusso, il Giovin Signore di cui Parini fa la satira nella sua opera: Il giorno.
Sardanapalo è citato anche da Dante nel canto XV del Paradiso vv. 107-108: “Non v’era giunto ancor Sardanapalo / a mostrar ciò che in camera si puote”.
Analisi metrica
Il testo è composto da endecasillabi sciolti (295in totale).
Lo stile è elevato e il tono solennemente colloquiale. Foscolo non indugia nelle descrizioni e riesce a creare, tra le varie parti del testo, rapporti di continuità tematica e argomentativa.
Numerose le domande retoriche, ben quattro:
- doppia interrogativa iniziale (vv.1-15) che sembra concludere subito il discorso per la necessaria conclusione negativa: Vero è ben Pindemonte! Anche la Speme/…fugge i sepolcri… - vv.16-22;
- doppia interrogativa dei vv.23-29, che ha la funzione di riaprire il discorso e prevede una conclusione positiva: Celeste è questa / corrispondenza d’amorosi sensi…(vv.29-40).
Figure retoriche
Approfondimento di alcune figure retoriche:
- All’ombra de’ cipressi (v.1) = al cimitero;
- Ove più il Sole… e dell’Amore (vv.3/12) lunga perifrasi per dire: quando sarò morto;
- Per me alla terra non fecondi questa / Bella d’erbe famiglia e d’animali (vv.4-5)
- Nel suo grembo materno ultimo asilo / Porgendo, sacre le reliquie renda (vv.35-36);
- E di fiori odorata arbore amica / Le ceneri di molli ombre consoli (vv.39-40);
- di fr e nd nel verso: frondi va fremendo (v.67) – forte allitterazione che sottolinea lo sdegno di Foscolo;
- della lettera a nei versi: e forse l’ossa / col mozzo capo gl’insanguina il ladro (vv.75-76) –allitterazione che dà forza e violenza all’immagine.
Metonimie, sono numerose, per es.:
- v. 1 - urne per dire tomba - indica contenuto per contenitore;
- v. 13 - sasso per dire lapide - indica la parte per il tutto;
- v. 37 - de’ nembi per dire piogge – indica causa per l’effetto;
- v. 44 - templi Acherontei per dire l’inferno – indica la parte per il tutto;
- v. 72 - ombre per dire alberi – indica effetto per la causa.