La poesia “L’Infinito” è stata composta, a Recanati nel 1819, da Giacomo Leopardi ventunenne. Rappresenta uno dei momenti più alti della poesia leopardiana.
TESTO
PARAFRASI
[1]
Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
e questa siepe che da tanta parte
dell’ultimo orizzonte il guardo esclude.
Ma sedendo e mirando, interminati
Spazi di là da quella, e sovrumani
Silenzi, e profondissima quiete
Io nel pensier mi fingo, ove per poco
Il cor non si spaura. E come il vento
odo stormir tra queste piante io quello
Infinito silenzio e questa voce
Vo comparando: e mi sovvien l’eterno,
e le morte stagioni e la presente
e viva e il suon di lei. Così tra questa
Immensità s’annega il pensier mio:
e il naufragar m’è dolce in questo mare.
[1] Mi furono (mi fu – si riferisce a due soggetti) sempre cari questo colle solitario (ermo) e questa siepe, che esclude la vista (il guardo esclude) dell’estremo (ultimo) orizzonte per grande (tanta) parte.
Ma stando seduto e contemplando (mirando) io immagino (mi fingo) nel pensiero [che vi siano] al di là della siepe (di là da quella) spazi infiniti (interminati spazi - iperbole) e silenzi sovrumani (sovrumani silenzi - iperbole) e una pace (quiete) profondissima (iperbole); nei quali (ove) per poco il [mio] cuore non si smarrisce (si spaura). E non appena (come) odo lo stormire (odo stormir - onomatopea) del vento tra questi piante, io paragono (vo comparando) quell’infinito silenzio a questo suono (voce - metafora): e mi torna in mente (mi sovvien) il pensiero dell’eternità (l’eterno), e il tempo passato (le morte stagioni) e il presente (la presente) ancora vivo il suono delle sue imprese (viva e il suon di lei – Lei perchè è riferito a stagione presente). Così in quest’immensità il mio pensiero si smarrisce (s’annega) e naufragare mi è dolce (naufragar m’è dolce ossimoro) in questa vastità infinita (in questo mare – nell’infinito - metafora infinito visto come un immenso mare in cui si è naufraghi).
Riassunto
La poesia descrive Leopardi che solo sul monte Tabor, collina che si trova poco distante dal palazzo dove il poeta viveva a Recanati, ha lo sguardo ostacolato da una siepe.
L’impedimento/limite rappresentato dalla siepe suscita in lui una riflessione sulla capacità dell’immaginazione di trascendere il reale e far spaziare nell’immensità (infinito spaziale) ed egli immagina spazi interminabili e silenzi che vanno oltre ad ogni possibilità umana di comprensione, percepisce una quiete assoluta e una sensazione di smarrimento.
Il rumore del fogliame scosso dal vento riporta il poeta alla realtà ma nello stesso tempo, così come la siepe gli aveva trasmesso l’idea dell’infinito spaziale, gli suggerisce l’idea dell’infinito temporale, cioè dell’eternità. Il poeta dolcemente si abbandona alle sensazioni suscitate da questa esperienza.
Analisi del testo della poesia
Lirica ispirata da una esperienza personale a partire dalla quale Leopardi giunge ad una riflessione filosofica di tipo esistenziale. La poesia si incentra sull’immergersi dell’io nella percezione dell’infinito generata dal rapporto con un luogo reale, ben definito, il colle di Recanati, e con l’immaginazione di tempi e spazi illimitati e indefiniti che avviene attraverso:
- La sensazione visiva che, incontrato il limite visivo rappresentato dalla siepe, determina l’avvio dell’immaginazione di spazi infiniti (infinito spaziale);
- La sensazione uditiva, suscitata dal rumore del vento tra le foglie, che determina l’avvio dell’immaginazione di tempi illimitati, dell’eternità (infinito temporale).
Nella conclusione prevale il sentimento di abbandono, il lasciar andare la propria piccolezza davanti all’immensità, abbandonandosi ad una esperienza piacevole e appagante.
La natura in questa fase della poetica leopardiana rappresenta ancora il locus amenus e non è ancora la natura matrigna delle sue opere della maturità.
Il sublime
Attraverso questa poesia Leopardi vuole rendere l’esperienza del sublime. Per i romantici il sublime è il senso di annichilimento dell’io che emerge al cospetto di spettacoli grandiosi naturali o tragici. La genialità della poesia di Leopardi consiste nel fatto che il poeta ci fa vedere che il sublime è un’esperienza puramente mentale e non è necessario trovarsi in un luogo particolare, ma basta la propria immaginazione.
Analisi metrica
L’infinito appartiene al genere dell’idillio. E’ una poesia di soli 15 versi, endecasillabi sciolti, senza strofe e senza rima con il ritmo spezzato e dilatato da numerosi enjambements (che riguardano la maggior parte dei versi: vv. 2-3; vv. 4-5; vv. 5-6; vv. 8-9; vv. 9-10; vv. 13-14;).
Pur non avendo distinzione in strofe si possono individuare 4 periodi sintattici di varia lunghezza delimitati dal punto (vv.1-3; vv.4-8; vv.8-13; vv.13-15).
L’asimmetria tra ritmo metrico e andamento sintattico non riguarda il primo e l’ultimo verso nei quali vi è coincidenza tra metrica e sintassi.
I dimostrativi (deittici) questo/questa (vv.1-2-9-10-13-15) sottolineano la concretezza di ciò che è reale in contrapposizione al dimostrativo quello del verso 9 che indica ciò che viene immaginato (l’infinito).
IDILLIO:
Idillio è un termine di origine greca (eidyllion) che significa “piccolo quadretto”, cioè “poesia breve”. In origine si trattava di poesia bucolica, agreste che evolve nel settecento in una forma lirica che si ispira alla contemplazione della vita agreste e degli spettacoli naturali. Con Leopardi viene data voce ad un rapporto diretto dell’io con la natura con una forma poetica in cui il paesaggio costituisce la cornice per riflessioni esistenziali.
Figure retoriche
Oltre alle figure retoriche segnalate nella parafrasi vi sono anche:
-
Allitterazioni
- della s ai vv. 5-6
- della a per tutta la poesia.
- AnastrofI - ai v. 1 - Sempre caro mi fu quest’ermo colle; v.3 - il guardo esclude; vv. 4-7: interminati / spazi di là da quella, e sovrumani /silenzi, e profondissima quiete / io nel pensier mi fingo; vv.8/9 - il vento odo stormir; v.14 s’annega il pensier mio.
- Antitesi - vv. 2, 5 - questa siepe…/… di là da quella; vv. 9-10 - quello/ infinito silenzio a questa voce; vv. 12-13 - e le morte stagioni, e la presente/ e viva;
- Polisindeto - e…e…e… vv. 5-6 - e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete; ai vv. 11/13 - e mi sovvien l’eterno, / e le morte stagioni, e la presente / e viva e il suon di lei.