Episodio autobiografico
La poesia Alla stazione in una mattina d’autunno prende spunto da un episodio autobiografico di Carducci: il poeta si reca alla stazione di Bologna, in un piovoso mattino autunnale, per salutare, Lidia, la donna di cui è innamorato, che è in partenza. L’avvenimento suscita in Carducci sentimenti malinconici ed egli ravvisa nel paesaggio, nella stazione e nel nero convoglio che, come un mostro alato, allontana la donna dal poeta, segnali minacciosi sui sogni e le illusioni di una vita, come se questa partenza segnasse una rottura definitiva con il passato.
TESTO
PARAFRASI
[1] Oh quei fanali come s'inseguono
accidiosi là dietro gli alberi,
tra i rami stillanti di pioggia
sbadigliando la luce su 'l fango!
[1] Oh quei lampioni (fanali - i lampioni del viale di Bologna che conduce alla stazione) come si inseguono monotoni (accidiosi – personificazione e metafora) là dietro agli alberi, fra rami gocciolanti (stillanti) di pioggia gettando fiocamente (sbadigliando – personificazione – da notare che viene trasformato in verbo transitivo) la luce sul fango! (metafora)
[5] Flebile, acuta, stridula fischia
la vaporiera da presso. Plumbeo
il cielo e il mattino d'autunno
come un grande fantasma n'è intorno.
[5] La locomotiva (vaporiera) fischia [dapprima] flebile, [poi] acuta [e infine] stridula (Flebile, acuta, stridula - climax) da vicino (da presso). Il cielo cupo (plumbeo - onomatopea) e la mattinata autunnale danno un aspetto spettrale (come un grande fantasma - similitudine) a tutt’intorno (n'è intorno).
[9] Dove e a che move questa, che affrettasi
a' carri foschi, ravvolta e tacita
gente? a che ignoti dolori
o tormenti di speme lontana?
[9] Dove e a che [scopo] corre (move) questa gente (questa…gente) che si affretta (affrettasi) verso le tetre carrozze [del treno] (a' carri foschi) imbacuccata e silenziosa (ravvolta e tacita)? a quali (a che) sconosciuti (ignoti) dolori o speranze tormentose (tormenti di speme – speme è latinismo) e lontane (lontana - perché vane e incerte).
[13] Tu pur pensosa, Lidia, la tessera
al secco taglio dài de la guardia,
e al tempo incalzante i begli anni
dài, gl'istanti gioiti e i ricordi.
[13] Anche tu (Tu pur) pensierosa Lidia, dai il biglietto (tessera - latinismo) al secco taglio del controllore (guardia - latinismo) e dai al tempo che incalza (incalzante) gli anni belli, i momenti di gioia (gl'istanti gioiti) e i ricordi.
[17] Van lungo il nero convoglio e vengono
incappucciati di nero i vigili
com'ombre; una fioca lanterna
hanno, e mazze di ferro: ed i ferrei
[17] I frenatori (i vigili - latinismo) camminano (Van) lungo il treno (convoglio) nero (nero…nero, vv.17-18 - anafora) e avanzano (vengono) incappucciati di nero, come ombre (similitudine), hanno una fioca lanterna e mazze di ferro: ed i ferrei
[21] freni tentati rendono un lugubre
rintocco lungo: di fondo a l'anima
un'eco di tedio risponde
doloroso, che spasimo pare.
[21] freni percossi (tentati - latinismo) mandano (rendono) un lugubre (lugubre - onomatopea) lungo rintocco: dal profondo dell'anima (di fondo a l'anima) risponde una eco di noia (tedio – noia esistenziale) angosciata (doloroso) che sembra (pare) uno spasimo.
[25] E gli sportelli sbattuti al chiudere
paion oltraggi: scherno par l'ultimo
appello che rapido suona:
grossa scroscia su' vetri la pioggia.
[25] E gli sportelli sbattuti quando vengono chiusi (al chiudere) sembrano insulti (paion oltraggi - similitudine): uno scherzo pare (scherno par - similitudine) l'ultimo invito [a salire sul treno] (l'ultimo appello) che veloce risuona: forte (grossa) scroscia la pioggia sui vetri.
[29] Già il mostro, conscio di sua metallica
anima, sbuffa, crolla, ansa, i fiammei
occhi sbarra; immane pe 'l buio
gitta il fischio che sfida lo spazio.
[29] Ormai (Già) il treno (il mostro - metafora), consapevole (conscio - personificazione) della sua anima metallica, sbuffa, vibra, ansima (sbuffa, crolla, ansa - climax) accende (sbarra) i fanali (occhi - metafora) luminosi (fiammei); enorme (immane – latinismo – terribile riferito a mostro) lancia (gitta) nell'oscurità (pe 'l buio) un fischio che sfida lo spazio.
[33] Va l'empio mostro; con traino orribile
sbattendo l'ale gli amor miei portasi.
Ahi, la bianca faccia e 'l bel velo
salutando scompar ne la tenebra.
[33] Parte (Va) lo spietato (empio – latinismo - personificazione) mostro; portando via con sè (portasi) la donna amata (gli amor miei - è un plurale per il singolare, alla latina) con l’orribile fila di vagoni (traino), come un mostro che sbatte le ali (sbattendo l'ale). Ahi, il viso bianco e il bel velo (bel velo – espressione petrarchesca – vedi: Chiare fresche dolci acque, v.39) salutando scompare nel buio (antitesi - tra bianco del viso e il nero della tenebra).
[37] O viso dolce di pallor roseo,
o stellanti occhi di pace, o candida
tra' floridi ricci inchinata
pura fronte con atto soave!
[37] Oh, dolce viso rosa pallido (pallor roseo - ossimoro), oh occhi rilucenti (stellanti) che infondono serenità (di pace), oh bianca (candida) e pura fronte inclinata tra i folti capelli (floridi ricci), con gesto (atto) delicato! (soave)
[41] Fremea la vita nel tepid'aere,
fremea l'estate quando mi arrisero;
e il giovine sole di giugno
si piacea di baciar luminoso
[41] Trepidava (Fremea) la vita nella brezza tiepida (tepid'aere - latinismo) fremeva l'estate quando [i tuoi occhi] mi sorrisero (arrisero); e il giovane (giovine) sole di giugno si compiaceva (si piacea) di baciare luminoso,
[45] in tra i riflessi del crin castanei
la molle guancia: come un'aureola
piú belli del sole i miei sogni
ricingean la persona gentile.
[45] tra i (in tra) riflessi castani della chioma (crin castanei) la morbida (molle) guancia: come un'aureola (similitudine) i miei sogni, più luminosi (piú belli) del sole, circondavano (ricingean) la sua figura delicata (persona gentile).
[49] Sotto la pioggia, tra la caligine
torno ora, e ad esse vorrei confondermi;
barcollo com'ebro, e mi tocco,
non anch'io fossi dunque un fantasma.
[49] Sotto la pioggia, nella nebbia (caligine - latinismo), torno ora [a casa], e vorrei confondermi con esse (ad esse - intende con la pioggia e la nebbia); barcollo come stordito (com'ebro) e mi tocco [nel timore] che sia anch'io dunque un fantasma.
[53] Oh qual caduta di foglie, gelida,
continua, muta, greve, su l'anima!
Io credo che solo, che eterno,
che per tutto nel mondo è novembre.
[53] Oh quale caduta di foglie, gelida, ininterrotta (continua), silenziosa (muta), pesante (greve), sull’anima! (metafora) Io credo che [è] soltanto (solo), che [è] eterno, che è ovunque (per tutto) nel mondo novembre.
[57] Meglio a chi 'l senso smarrì de l'essere,
meglio quest'ombra, questa caligine:
io voglio io voglio adagiarmi
in un tedio che duri infinito.
[57] [E'] meglio (Meglio…meglio, vv.57-58 - anafora) per chi (a chi) ha smarrito (smarrì) il senso dell’essere, meglio quest'ombra, questa nebbia (caligine): io voglio io voglio (io voglio io voglio - anadiplosi) adagiarmi in una malinconia (tedio) che duri per sempre (duri infinito).
Tematiche
I versi della poesia Alla stazione in una mattina d’autunno raccontano lo stato di sofferenza dell’animo del poeta nel salutare la donna amata, Carolina Cristofori Piva, che Carducci chiama Lidia, mentre sale sul vagone del treno in partenza da Bologna; l’occasione porta il poeta, in chiusura del componimento, ad una riflessione sulla vita dal forte contenuto esistenziale.
Struttura della poesia
La poesia strutturalmente si divide in tre parti:
- Vv. 1-36 – Nella parte iniziale della poesia vi è la rappresentazione descrittiva dell’ambiente esterno, in un giorno autunnale di pioggia, alla stazione dei treni da cui la donna amata, Lidia, si appresta a partire;
- Vv. 37-48 – La parte centrale si basa sul ricordo: il Poeta rievoca, in antitesi con il grigiore e il tedio della mattina autunnale, un momento felice vissuto in passato con Lidia, sotto il giovin sole di giugno, ovvero in estate;
- Vv. 49-60 – La parte conclusiva è riflessiva: nelle ultime tre strofe il poeta, dopo aver salutato la donna, rientra mestamente a casa dominato da una sensazione di malinconia dell’anima (tedio) e da un senso di squallore esistenziale.
Analisi del testo
- Vv. 1-36 – La prima parte è incentrata sulla scena di addio alla stazione, quindi al tempo verbale al presente.
Il componimento è dominato dall’idea del tedio, della desolazione, dello sconforto per la partenza della donna amata, e le prime immagini già illustrano un paesaggio in cui l’uso dei termini: accidiosi, sbadigliando, plumbeo induce ad immaginare un ambiente cupo, autunnale, freddo, nebbioso, che avvolge tutto e tutti travolge; - Vv. 37-48 – Nel mezzo sono inserite tre strofe narrate al passato dove viene ricordata un’altra occasione di incontro tra i due amanti, in estate, al mare.
Si passa dal linguaggio realistico a quello convenzionale. Ora alla descrizione dettagliata della stazione e del treno delle prime strofe, subentra una descrizione visionaria in cui la lode a Lidia viene svolta secondo i canoni tradizionali della poesia d’amore.
Vi è una forte antitesi tra questi ricordi felici e la cupezza del presente: sole, vitalità e dolcezza si contrappongono a pioggia, freddo, foschia e tristezza. - Vv. 49-60 – Nella chiusura vi è un brusco ritorno alla realtà, Carducci ritorna al linguaggio realistico e al tempo verbale presente nelle ultime tre quartine in cui il triste paesaggio autunnale riflette analogicamente la triste malinconia dell’anima. Tutto sprofonda nel tedio ed emerge un malessere interiore in cui il poeta smarrisce il senso dell’essere.
Il treno
Il treno ha un ruolo fondamentale e attorno ad esso ruota tutta la scena poetica. Va sottolineato che il treno, all’epoca icona positivistica simbolo del progresso, viene percepito in quest’occasione da Carducci come simbolo dello squallore e della modernità. In quest’ottica la descrizione data dal poeta subisce una personificazione mitologica in base alla quale il treno viene paragonato ad un mostro crudele, un mostro alato che sbattendo l’ale rapisce la donna amata, un cerbero dall’anima metallica (vv.29-30).
Il treno non è più dunque il bello e orribile mostro, cantato dal giovane Carducci nel famoso Inno a Satana del 1863, anno in cui il poeta, ancora combattivo e polemico, credeva nei miti del positivismo e del progresso e ne lodava l’invenzione e la funzione, ma è l’empio mostro, espressione dell’industrializzazione avanzante in cui Carducci adesso vede un pericolo, un potere oscuro che sottratto al controllo dell’uomo lo domina e ne scardina i valori.
Domina, nel linguaggio usato per descrivere il treno, l’atmosfera cupa: nero convoglio, carri foschi, empio mostro, traino orribile.
Lidia
Lidia è il nome che il poeta dà a Carolina Cristofori Piva, che con Carducci ebbe una storia d’amore durata circa sette anni.
La poesia Alla stazione in una mattina d’autunno fa riferimento a due incontri tra Carducci e Lidia che posti in antitesi l’uno con l’altro creano un forte pathos:
- Uno a novembre – in occasione della partenza di Lidia dalla stazione di Bologna, è l’evento che dà avvio alla poesia in cui l’atmosfera è pervasa dalla tristezza dell’addio e del clima autunnale;
- L’altro precedente avvenuto in giugno – l’incontro estivo è gioioso, leggero e si pone in contrasto con la tristezza autunnale dell’addio alla stazione.
Il decadentismo di Carducci
Questo componimento rappresenta il massimo vertice di modernità tematica e linguistica della produzione poetica di Carducci, tanto che alcuni critici hanno ravvisato in questi versi dei richiami alla sensibilità decadente. Echi baudelairiani, rimbaudiani e verlainiani sono stati riconosciuti nella malinconia di Carducci che ricorda il senso di tristezza, lo spleen di alcune opere di questi poeti.
Analisi metrica
Ode di 15 strofe alcaiche, rese con due doppi quinari, un novenario e un decasillabo.
Il ritmo è lento.
Si nota nel componimento un certo sperimentalismo linguistico in cui il linguaggio è caratterizzato da un’alternanza tra un lessico realistico e crudo ed uno classico ed elevato:
- il lessico aulico e tradizionale prevale nella rappresentazione di Lidia e dell’estate ma viene utilizzato anche nella descrizione del treno: empio, tentati, speme, caligine, accidiosi, fiammei, stellanti occhi di pace, guardia, tessera, vigili, caligine, velo, tiepid’aere, in tra i riflessi del crin castanei, come un’aureola;
- Carducci utilizza termini moderni ed espressioni prosastiche nella descrizione del treno, della stazione e del giorno autunnale: stazione, fanali, fango, vaporiera, carri, freni, secco taglio, nero convoglio, lanterna, mazze di ferro, sportelli sbattuti.
Vi sono frequenti anastrofi e iperbati (come per esempio ai vv. 9-11 e 23-24) inoltre Carducci per amplificare il senso di angoscia e oppressione usa la tecnica retorica dell’accumulazione:
- Flebile, acuta, stridula, v. 5;
- sbuffa, crolla, ansa, v.30;
- gelida, / continua, muta, greve, vv. 53-54.
I versi non sono in rima ma vi sono però assonanze e analogie foniche tra le parole a fine verso.
Figure retoriche
Approfondimento di alcune figure retoriche:
- Flebile, acuta, stridula, v.5 – aggettivi in climax ascendente per trasmettere lo sgradevole crescendo progressivo del suono, che diventa stridore, della locomotiva che si porta via Lidia;
- S’inseguono accidiosi…sbadigliando la luce su 'l fango, v.2/4 – entrambe le immagini riferite ai lampioni sono metaforiche: i fanali che si inseguono accidiosi e che sbadigliano vogliono far percepire la lentezza e la malinconia della situazione, la luce descritta in questo modo si carica di significati che rivelano lo stato d’animo del poeta;
- Oh qual caduta di foglie, gelida, continua, muta, greve, su l'anima!, vv.53-54 - la caduta delle foglie è metafora del cadere sull’anima dei sogni e delle illusioni del poeta.
- Accidiosi, v.2 – Carducci attribuisce un aggettivo che solitamente si riferisce ad una persona per dire indifferenti, pigri e trasmettere l’immagine di questa fila di lampioni che sono in monotona successione;
- Sbadigliando, v.4 – il verbo vuole sottolineare il tedio, il senso di noia e di desolazione provati dal poeta;