Uno nessuno centomila è l’ultimo romanzo di Luigi Pirandello e rappresenta una sorta di testamento letterario dell’autore in quanto racchiude una sintesi delle sue tematiche e della sua concezione dell’esistenza e dell’uomo. Dopo questo romanzo la carriera artistica di Pirandello ha una svolta determinata dal passaggio dalla poetica umoristica e allegorica all’ultima produzione novellistica surreale e alla stagione del teatro incentrato sui miti.
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RIASSUNTO
Il protagonista del romanzo "Uno nessuno centomila" è Vitangelo Moscarda (Gengè per gli amici), figlio scansafatiche di un banchiere usuraio dal quale ha ereditato la banca che gli permette di vivere di rendita.
Tutta la vicenda prende avvio da un evento insignificante, lo scrutarsi allo specchio del protagonista e la scoperta di un difetto, il naso che pende verso destra. Vitangelo non aveva mai notato questo particolare, è la moglie che glielo sottolinea. La scoperta del difetto del naso, seguita poi da altri difetti che la moglie gli fa notare, come le sopracciglia che sembrano due accenti circonflessi, l’attaccatura delle orecchie, la diversità della gamba destra rispetto alla sinistra, scatenano in lui una crisi di identità. Vitangelo si rende conto che la moglie e le persone intorno a lui hanno un'immagine della sua persona completamente diversa da quella che egli si è fatto di sé stesso.
Vitangelo Moscarda decide quindi di cambiare vita per scardinare l'immagine stereotipata che gli altri hanno di lui, alla ricerca della sua vera identità.
Lui che non si era mai occupato della banca decide, fra lo sbigottimento degli impiegati e dei soci e, nonostante l'opposizione dell'amministratore Quantorzo, che gestisce gli affari di famiglia dopo la morte del padre di Vitangelo, di gestire direttamente la banca e i beni paterni. Sfratta un certo Marco di Dio da una casa di sua proprietà per poi regalargli l’appartamento. Poi, per liberarsi della nomea che gli è stata attribuita dai compaesani di figlio dell’usuraio, si ripropone di liquidare la banca.
La moglie di Vitangelo Moscarda, i famigliari e gli amministratori della banca, per impedirgli di dilapidare tutte le sue sostanze, lo vogliono interdire per infermità mentale.
Moscarda riceve allora la visita di Anna Rosa, un'amica della moglie, inviata nel tentativo di per cercare di ricondurlo alla ragione. La donna, sconvolta dal suo modo di ragionare e preda di un inspiegabile raptus, gli spara un colpo di pistola. Al processo però, anche grazie alla deposizione di Moscarda, viene assolta.
Vitangelo devolve tutti i suoi beni per la costruzione e la gestione di un manicomio per poveri indigenti, in cui è stesso si ritira a vivere. Nell’ospizio Vitangelo si sente finalmente libero da ogni regola e dalla prigione dell’identità attraverso l’immersione nella natura, vive come un elemento della natura o un animale, è diventato nessuno, è senza nome, identità e pensieri, immerso nel fluire insensato della vita.
Analisi
Uno nessuno centomila è l’ultimo romanzo pirandelliano, viene pubblicato nel 1925, dopo una lunga gestazione. Pirandello vi stava lavorando già da circa quindici anni, alternando la stesura dell’opera all’attività di autore teatrale. La lunga elaborazione di Uno nessuno centomila vede la pubblicazione di alcuni brani nel 1915 e la prima edizione completa sulla rivista “La fiera letteraria” tra il dicembre ’25 e il giugno ’26.
La narrazione consiste in un ininterrotto monologo, costituito da riflessioni, divagazioni, interruzioni, digressioni del protagonista/voce narrante: Vitangelo Moscarda.
L’intento è di riuscire a individuare nelle «centomila» proiezioni che gli altri hanno di lui, il suo vero “io”, l’”uno”, la sua unicità, per scoprire invece che non esiste «nessuno».
Incipit
La vicenda ha avvio con la domanda che la moglie di Vitangelo Moscarda rivolge all’improvviso al protagonista: “Che fai?”, da cui si dipana un incipit del libro spiazzante: l’azione banale e ordinaria del protagonista di guardarsi allo specchio e la distratta osservazione della moglie sul particolare del naso, mai notato prima, che pende a destra, tutti questi elementi insignificanti, che rientrano nell’ordinario della vita di tutti i giorni, portano ad una scoperta inattesa che scatena, come un vero e proprio cataclisma, lo svolgimento della vicenda.
Già dall’inizio del racconto il procedimento è tipicamente umoristico: un elemento insignificante assume dimensioni eccezionali e la ridicola ed eccessiva reazione del protagonista non può che suscitare il riso nel lettore, il quale attraverso la comicità viene però indotto ad un secondo livello di lettura basato sulla riflessione e sull’analisi relativi alla rappresentazione dell’io e al concetto di identità.
L'inettitudine di Moscarda
Anche il protagonista di questo ultimo libro di Pirandello, è un inetto come il Pascal del Fu Mattia Pascal. Vitangelo Moscarda è infatti uno scioperato figlio di papà che come Pascal non si riconosce nel proprio corpo e che si è sposato per imposizione altrui.
Tuttavia Moscarda a differenza di Pascal non si adegua ad assistere passivamente a quella che definisce la “pupazzata” quotidiana che è la vita, ma va alla ricerca di una soluzione che lo riscatti dalla condizione di inetto. Le modalità del riscatto avvengono attraverso 2 fasi:
- La prima è l’abolizione della coscienza di sé e della propria identità Moscarda prova inizialmente a liberarsi della prigione della forma, ma non ci riesce. Constata che i pregiudizi sono inamovibili e che ogni tentativo di darsi un’identità irrigidisce la persona in una sorta di maschera, impedendogli di essere altro. Il nome, che viene definito non a caso un’epigrafe funeraria, e la forma che ci imprigiona in uno schema, stabiliscono limiti precisi e rigidi e schiacciano la vita che è flusso e movimento. Allora Moscarda realizza che per vivere veramente non bisogna essere più nessuno, afferma deliberatamente di non voler essere più nessuno ed arriva a rifiutare il proprio nome. Il primo passo per il riscatto dall’inettitudine è il rifiuto di ogni identità individuale e di fissarsi in qualsiasi forma parziale e convenzionale.
- il secondo è l’abbandono mistico al flusso della vita nella natura. Moscarda rifiutando la schiavitù della maschera e la trappola dell’identità, basati sulle convenzioni del vivere dell’uomo, approda ad una soluzione utopica ma assurdamente positiva: annullare se stessi immergendosi nel flusso vitale di una comunione profonda con la natura, lontano dalla città, simbolo dell’alienazione e dell’artificialità.
Uno nessuno centomila ha dunque una conclusione positiva: il percorso di affrancamento da una condizione di profondo malessere (l’inettitudine legata al problema dell’identità) si conclude con una fuga dalla forma per entrare nella vita, ovvero una fuga dalla società per entrare nella natura vista come vita allo stato puro.
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Stile
Uno nessuno centomila rivela dal punto di vista formale soluzioni innovative e l’influsso dell’attività teatrale di Pirandello. La narrazione, come nel Fu Mattia Pascal è retrospettiva (i fatti sono già accaduti nel momento in cui viene narrata la storia) e condotta dal punto di vista soggettivo e parziale del protagonista (narratore “inattendibile”). E’ un monologo in cui vi è una richiamo frequente ad un interlocutore immaginario, chiamato in causa in qualità di testimone e giudice.
Con quest’opera Pirandello porta alle estreme conseguenze la destrutturazione delle forme narrative tradizionali, è una specie di anti-romanzo, in cui una voce narrante, riflette tra sé e sé, dissolvendo la tradizionale concatenazione dei fatti, non c’è una trama vera e propria e si salta frequentemente da un tema all’altro. Per questo motivo si avvicina alle esperienze narrative di Proust, Joyce e Svevo che andavano affermandosi negli anni Venti.
L’impostazione di Uno nessuno centomila è quella di un romanzo-saggio in cui la parte della riflessione e della componente argomentativa, volta a dimostrare la tesi proposta, prevale nettamente sulla parte narrativa.