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Letteratura

La novella di Calandrino e l'elitropia

Decameron – VIII, 3

Giovanni Boccaccio

Riassunto e analisi

· Pubblicato ·

La novella di Calandrino e l’elitropia, è il terzo racconto dell’ottava giornata, è una novella di beffe, di beffatori e di beffati, attraverso la quale Boccaccio elogia la furbizia e l’intelligenza dei beffatori e disprezza i poveri stupidi beffati.


La narratrice della storia è Ellissa, la regina è Lauretta e l’ambientazione è fiorentina.



 

BREVE RIASSUNTO


Con le donne che ancora ridono per la novella di Panfilo, Elissa inizia il suo racconto della beffa che, un giovane dal nome di Maso del Saggio, decide di fare a Calandrino, di cui conosceva l’ingenuità, un giorno che lo vede per caso nella chiesa in cui è entrato.


Maso del Saggio rivolgendosi ad un amico, con cui si è accordato, racconta, in modo da farsi sentire anche da Calandrino, dell’esistenza delle proprietà magiche di alcune pietre, nella zona di Berlinzone, in una contrada che si chiama Bengodi, circondata da montagne di parmigiano grattugiato, maccheroni, ravioli e percorsa da fiumi di vino prelibato, dove per un soldo si poteva avere un’oca e in aggiunta anche un papero.


Calandrino che durante il racconto, con fare indifferente, ha teso le orecchie per sentire tutto quello che Maso andava dicendo, cade nella trappola della beffa, si unisce alla conversazione e chiede precisazioni a Maso, con il progetto di approfittare, a proprio beneficio, delle cose straordinarie udite.


Maso lo informa dell’esistenza di una pietra miracolosa, l’elitropia, pietra che è presente in abbondanza anche nella loro contrada e induce Calandrino a credere che abbia la proprietà di rendere invisibile colui che la trova e che la tiene con sé.


Calandrino ingolosito dall’idea di poter usare la magica elitropia per rubare senza essere visto decide di andare alla sua ricerca ma non vuole farlo all’insaputa dei suoi amici, Bruno e Buffalmacco, per cui li coinvolge e gli racconta quanto scoperto parlando con Maso, compreso il potere prodigioso della pietra elitropia di rendere invisibili.


Gli amici burloni, intuiscono subito che il loro amico è vittima di una beffa e ne approfittano per ideare una beffa nella beffa per cui assecondano Calandrino nel progetto di cercare nel Mugnone, torrente nelle vicinanze del paese, la magica pietra.


La ricerca dell’elitropia da parte di Calandrino è sfrenata ed ingorda, egli raccoglie una gran quantità di sassi neri, aiutandosi con la sopravveste, che usa in modo da ottenere un contenitore per le pietre.


Gli amici per fargli credere che egli abbia trovato tra tutte quelle pietre l’elitropia ad un certo punto fanno finta di non vederlo più.


Calandrino scioccamente crede davvero di non essere più visto da loro e li sta ad ascoltare silenzioso mentre loro ad alta voce si lamentano amaramente di essere stati giocati da lui che trovata l’elitropia non lo ha fatto sapere a nessuno, è svanito e se n’è tornato a casa.


Per la rabbia iniziano anche a tirare sassi, tirandoli verso di lui e colpendolo. Calandrino, convinto e felice di essere invisibile, sopporta in silenzio la gragnuola di colpi che gli piomba addosso, per non rivelare la sua presenza,.


Bruno e Buffalmacco si avviano quindi verso il paese insieme “all’invisibile” Calandrino.


I due amici burloni, per far sì che la beffa riuscisse nel migliore dei modi avevano preparato tutto meticolosamente, coinvolgendo anche tutti coloro che si sarebbero trovati sulla strada da percorrere, tra cui le due guardie del dazio che sono alle porte di ingresso della città, e tutti fingono quindi di non vedere Calandrino quando passa.


Rientrato a casa, quando la moglie, che è ignara di tutto, gli si rivolge dimostrando di vederlo perfettamente, Calandrino realizza che l’effetto magico è svanito, ma neanche a quel punto si rende conto di essere stato beffato e se la prende con la moglie, che bastona furiosamente, perché, dando credito alla credenza popolare che reputa le femmine capaci di far perdere le virtù delle cose, è convinto che la donna abbia annullato il potere della pietra.


Durante il litigio tra i due coniugi appaiono all’uscio di casa gli amici di Calandrino, che continuando la beffa si dicono adirati per essere stati abbandonati da Calandrino senza una parola di saluto, accusano Calandrino di essersi fatto gioco di loro, ed esigono addirittura delle scuse.


Lo convincono inoltre che non è stata la moglie ma il suo comportamento imprevidente a far sì che svanisse il potere magico della pietra, perché sapendo che le femmine fanno svanire le virtù delle cose, doveva avvisare la moglie di non farsi vedere quel giorno.


La novella si conclude con l’immagine del mucchio di pietre che occupano inutilmente parte della casa, a simbolo della stupidità e ingordigia di Calandrino.



 

TEMATICA

La novella è comico-satirica, incentrata sul motivo della stupidità beffata.


Il tema della beffa, ideata per puro divertimento e con protagonista Calandrino è, oltre che in questa, in altre tre novelle del Decameron, narrate nell’ottava (sesta novella) e nella nona giornata (terza e quinta novella).

 

IL PROTAGONISTA

Il protagonista è Calandrino, uomo ingenuo e sciocco che si crede furbo ed è perciò predestinato ad essere vittima delle beffe, rappresenta la personificazione della dabbenaggine umana.


Calandrino è il soprannome di un personaggio realmente esistito, era il pittore Giovannozzo di Perino, che era noto, più che per il suo estro artistico, per la sua goffaggine e ingenuità.


Boccaccio ne fa una caricatura mostrandolo come uno sciocco credulone convinto di essere furbo e lo rende protagonista di quattro novelle di carattere comico del Decameron, di cui Calandrino e l’elitropia è la prima.


Calandrino che crede di poter ingannare i propri compagni e amici, sentendosi molto più furbo di loro, finisce invece per essere regolarmente beffato e preso in giro, in lui, alcuni critici, hanno visto rappresentato il contadino inurbato, inesperto e ingenuo, facile vittima del cittadino scaltro ed esperto (Maso del Saggio).


Egli cade nella trappola della beffa perché sopraffatto dalla sua avidità e ingordigia non analizza i fatti razionalmente e non ascolta con attenzione quanto gli viene riferito da Maso, non coglie i suoi giochi di parole e il tono ironico, per esempio:

  • Quando Calandrino chiede a Maso se sia mai stato nel Bengodi, Maso gli dà una risposta non sense, dicendogli: “Sì vi sono stato così una volta come mille”, che può far pensare ad una affermazione, in realtà significa che non c’è mai stato, ma Calandrino non coglie l’ambiguità dell’espressione;
  • O quando chiede quante miglia misuri la contrada, Maso gli risponde giocando con i suoni e creando assonanze in rima con il ritornello di una canzoncina infantile (“che tutta notte canta”): “Haccene più di millanta, che tutta notte canta”, il tono beffardo e ironico è evidente ma Calandrino non se ne accorge.

La reazione violenta che il protagonista ha verso la moglie, Monna Tessa, che per pregiudizio popolare maschilista diffuso nel medioevo viene, in quanto donna, associata al peccato e alla corruzione morale, e quindi causa dello svanire dell’effetto magico dell’elitropia, rivela la disperazione dell’uomo per il crollo improvviso di tutti i sogni e le speranze e il ritorno alla triste realtà quotidiana.


Calandrino è un personaggio quasi patetico, è ottuso e di una stupidità paradossale, dalle sue disavventure non impara nulla, trapela il disprezzo di Boccaccio per questa tipologia di persone.


Calandrino con Boccaccio diventa una figura comica e compare con le stesse caratteristiche anche in opere successive come:

  • Trecentonovelle di Franco Sacchetti, autore trecentesco;
  • Vite di Giorgio Vasari.


 

GLI ALTRI PERSONAGGI

Tutti i personaggi della novella sono realmente vissuti all’epoca di Boccaccio che si serve della loro identità per dare ambientazione storica al racconto:

  • i due amici di Calandrino, Bruno e Buffalmacco erano anch’essi pittori e a quell’epoca abbastanza noti, erano rispettivamente: Bruno di Giovanni d’Olivieri e Bonamico di Cristofano.
    Prendono spesso in giro Calandrino perché è un soggetto che per la sua stupidità e stranezza è facile vittima degli scherzi.
  • Il personaggio di Maso del Saggio corrisponde ad un abile mediatore di affari fiorentino, anch’egli noto per essere un burlone, uno che organizzava scherzi ai danni degli ingenui.
    Maso fa un lungo, assurdo e paradossale discorso, con un linguaggio volutamente ambiguo, fatto di giochi di parole ed espressioni equivoche che vogliono ingannare i creduloni, come Calandrino, che non riescono a cogliere l’ironia e la derisione. Quando Maso capisce che Calandrino pende dalle sue parole diventa un vero e proprio imbonitore che lascia il suo interlocutore completamente frastornato.

Il gusto dello scherzo sia per Bruno e Buffalmacco, sia per Maso è fine a sé stesso, è il puro piacere della beffa con lo scopo di divertirsi, è una dimostrazione della loro abilità nel convincere gli ingenui e ridere dell’inferiorità e dabbenaggine altrui.





 

ELITROPIA

La credenza che esistessero pietre dalle proprietà magiche e miracolose era molto diffusa nel Medioevo, esistevano testi in prosa e versi, detti lapidari, che erano veri e propri trattati scientifici sull’argomento.


L’elitropia, dal greco heliotropium, helios = sole, trepo = io volgo, chiamata così per la sua capacità di riflettere i raggi del sole, è una pietra preziosa di colore verde e con striature rossastre, nella novella le viene attribuita la virtù di rendere invisibile chi la possiede.


Maso fa credere a Calandrino che l’elitropia abbia virtù favolose, egli afferma testualmente  che l’elitropia ha il potere “che qualunque persona la porta sopra di sé, mentre la tiene non è da alcuna altra persona veduto dove non è”, con questa frase esprime un’ovvietà, infatti, per logica, in ogni caso, questa persona non può essere vista là dove non è, ma Calandrino frastornato dalle informazioni che Maso gli ha rivelato, fraintende e interpreta in senso opposto, ovvero che l’elitropia rende invisibili e abbocca all’esposizione di Maso che è accortamente equivoca.


Anche nella descrizione della pietra Maso fornisce indicazioni senza senso e non significative, alcune sono piccole, alcune grandi e “di colore quasi come nero”, ma Calandrino le ritiene invece informazioni preziosissime.





 

ANALISI DEL TESTO

L’inizio della novella fornisce subito, in un solo periodo, le informazioni di base della vicenda narrata:

  • Dove ha luogo: nella nostra città, cioè a Firenze;
  • Il periodo storico in cui si svolge: ancora non è grantempo, cioè recentemente;
  • Quali sono i personaggi: Calandrino, il protagonista, e Bruno e Buffalmacco, i suoi compari.
  • Quali sono le caratteristiche dei personaggi:
    • Calandrino, ingenuo (uom semplice) e strano (di nuovi costumi);
    • Bruno e Buffalmacco, goliardi (uomini sollazzevoli molto), intelligenti e astuti (avveduti e sagaci).

La collocazione temporale della vicenda emerge anche dal riferimento al fatto che Calandrino sta ammirando i bassorilievi della chiesa di San Giovanni a Firenze, opera scultorea affidata a Lippo di Benivieni nel 1313.


Nel racconto si possono individuare tre blocchi narrativi:

  • L’antefatto: il colloquio tra Maso del Saggio e Calandrino in cui si sviluppa la prima burla sulla quale gli amici di Calandrino, Bruno e Buffalmacco, innestano la beffa vera e propria;
  • L’atto: La spedizione dei tre amici che va alla ricerca dell’elitropia e il suo presunto ritrovamento;
  • La conclusione: Il rientro a casa di Calandrino e lo svanire della sua illusione, senza che la beffa gli venga svelata.

Nella novella si intrecciano avvenimenti e situazioni comiche con un ritmo rapido e coinvolgente, l’impianto narrativo è lineare e di facile lettura grazie alle frequenti battute di dialogo e ad un lessico semplice e popolare, a volte dialettale (vedi per es. la desinenza -omo: andassomo che sta per andassimo).


In base alla tecnica retorica e stilistica caratteristica dell’invenzione burlesca, l’autore ricorre a nomi favolosi di luoghi surreali:

  • Berlinzone: località del tutto immaginaria, come immaginari sono i suoi abitanti, i Baschi;
  • Bengodi: Il nome di Bengodi inventato da Maso, formato da ben e godi, è creato in modo da richiamare l’idea di un luogo favoloso, una sorta di paese della cuccagna.

Boccaccio fa una descrizione geografica molto minuziosa e particolareggiata, con un realismo che contrasta con il carattere fantastico dei luoghi. le numerose precisazioni geografiche del discorso di Maso servono a dare un’aurea di credibilità e rendere meno assurda la narrazione a cui solo la “creduloneria” di Calandrino può dare fede.


Il linguaggio burlesco, inoltre, per ottenere maggiore effetto comico si avvale del ricorso a incongruità o irrealtà, come:

  • Millantanumero inesistente ottenuto dall’unione di mille con il suffisso anta per analogia con quaranta, cinquanta, ecc.;
  • gli smeraldi, de’ quali v’ha maggior montagne che monte Morello - descrizione iperbolica;
  • che tutta notte canta - frase fuori luogo che crea l’effetto gioioso della filastrocca;
  • vatti con Dio - formula di saluto utilizzata fuori luogo e senza alcun significato per concludere un periodo privo di filo logico;
  • Frasi senza senso o equivoche con significato opposto rispetto a ciò che vogliono significare:
    • vi sono stato così una volta come mille– nell’affermazione è nascosta una negazione;
    • si è cavelle – termine antico e dialettale che significa nonnulla e che crea un effetto contradditorio con Abruzzi a cui è riferito e che per l’epoca rappresentava una regione proverbialmente molto remota;
    • quando son macine fatti, se ne fa farina – ambiguità d’espressione perché non coi macigni ma tramite loro, trasformati in macine, si fa la farina;
    • non è da alcuna altra persona veduto dove non è – messaggio falso e ingannevole per Calandrino che infatti capisce che l’elitropia rende invisibili e invece logico per il lettore che coglie l’effetto di burla.

Allitterazione: capponi che cuocon coloro.





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